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Fermare la macchina della guerra

Di Davide Penna

A colloquio con José Nivoi, sindacalista attivo nel porto di Genova.

Pubblichiamo questa intervista uscita sul numero di Aprile 2020 della rivista italiana Città Nuova, per collaborare a diffondere e supportare l’impegno civile per la pace del Collettivo autonomo lavoratori portuali di Genova (Italia).

Un gruppo organizzato di lavoratori ha deciso di rifiutare il carico di armi sulle navi destinate a Paesi in guerra. Lo hanno fatto più volte e sono intenzionati a non arretrare. Papa Francesco li ha indicati pubblicamente come un esempio. Abbiamo incontrato José Nivoi, delegato sindacale della FiltCgil e componente del Collettivo autonomo lavoratori portuali di Genova (CALP).

La vostra mobilitazione continua. Quali iniziative avete portato avanti?

Dopo i blocchi dello scorso maggio e giugno, con cui abbiamo impedito il carico del materiale militare nel nostro porto alla nave saudita Bahri Yanbu, il 17 febbraio abbiamo organizzato un presidio a Ponte Etiopia con 130 persone in occasione dello sbarco di un’altra nave della stessa compagnia. Ci siamo mossi anche grazie alla rete di informazione e di solidarietà esistente con i lavoratori degli altri porti europei. Non vogliamo essere complici con il nostro lavoro di un mercato che uccide le persone. Si tratta di un approfondimento cominciato almeno da 4 anni con la scoperta di un grosso traffico di fuoristrada utilizzati poi nel conflitto in Libia.

Cosa vi ha spinto a proseguire questa battaglia?

Non vogliamo essere un ingranaggio del sistema della filiera delle armi, ma un granello di sabbia che mette in tilt un sistema che, nel silenzio dell’opinione pubblica, foraggia guerre terribili. Abbiamo fatto un’inchiesta specifica e visto come le navi della compagnia Bahri partano dal Nord America, arrivino in Europa e da qui approdino in Medio Oriente e Oriente, per contribuire a conflitti che anche l’Onu ha dichiarato lesivi dei diritti umani e che violano le leggi internazionali.

Quali ostacoli avete incontrato e quali gli obiettivi futuri?

Abbiamo incontrato una coscienza pubblica sopita. I cittadini genovesi devono sentire questa battaglia come propria, perché la guerra ci tocca tutti. Vogliamo suscitare consapevolezza nell’opinione pubblica e attivare le forze politiche facendo leva anche sulla nostra Costituzione e sulle nostre leggi, come la 185/90, che proibisce la produzione, il transito e la vendita di armi a Paesi impegnati in conflitti. Vorremmo andare nelle università a parlare con i giovani.

 

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