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Economia, salute e felicità: cosa ne dicono gli studiosi?

 
4 Febbraio 2016   |   , ,
 

“Uno sguardo interdisciplinare che non ha creato divisioni e rivalità tra approcci scientifici diversi; al contrario ha generato un grande entusiasmo negli studiosi: è nel dialogo fra le discipline che scaturisce quella ricchezza di vedute che permette di capire in profondità questi problemi così universali”, ci racconta Luca Crivelli.

Luca, puoi accennare a qualcuno degli argomenti trattati?

“Sono stati molti gli apporti su cui val la pena di spendere qualche parola. Anzitutto la primissima relazione di Bob Sugden, economista e pensatore sottile, ed il suo esercizio di decostruzione delle premesse antropologiche su cui si fonda la teoria del “Nudge” (in italiano “pungolo”), elaborata da alcuni economisti comportamentali. Recuperando l’apporto della psicologia all’analisi delle scelte economiche e sociali, Richard Thaler e Cass Sunstein definiscono un approccio denominato “paternalismo libertario” che considera legittimo l’intervento da parte degli architetti delle scelte nel definire in modo accurato le opzioni tra cui il cittadino sarà chiamato ad operare le proprie scelte. Pur sapendo che alcune scelte sono sbagliate per il nostro benessere (fumare, bere superalcolici) ed altre giuste (alimentarsi correttamente, praticare attività fisica), la maggioranza delle persone continua a praticare quelle sbagliate. Secondo la teoria del “Nudge”, le persone andrebbero “aiutate” a compiere la scelta giusta, rendendola meno faticosa (ad esempio nel self service di una mensa scolastica collocando il dolce solo in fondo, dopo frutta, verdura e cibi sani ), poiché in questo modo si riduce la fatica di “resistere alla tentazione” e si provocano scelte più razionali, nell’interesse delle persone. In qualche modo si attribuisce un costo di fatica all’azione “sbagliata”, in una sorta di “paternalismo libertario”. Ebbene Bob Sugden non concorda con questa visione e con una serie di esempi molto calzanti ha dimostrato che le motivazioni che portano le persone a fare scelte poco razionali sono moltissime e molto più variegate di quello che la teoria del nudge presuppone.”

Altri spunti interessanti?

“Ne cito alcuni. Una relazione molto interessante della sociologa Dorothy Watson ha dimostrato, sull’esempio dell’Irlanda, che gli attuali indicatori di benessere sono poco adeguati per dar conto della multidimensionalità delle povertà prodotte dall’attuale crisi finanziaria; oppure l’intervento di Carol Ryff che ha riportato i risultati di un articolato studio svolto negli USA da cui emerge che uno degli elementi fondamentali per il benessere e la salute psicofisica delle persone è avere un “purpose in life”, uno scopo nella vita. Jennifer Nedelsky ha sottolineato la necessità di ripensare completamente l’organizzazione del lavoro e della cura, favorendo la crescita di norme che impongano per tutti da una parte un massimo di 30 ore lavorative remunerate e 12 ore dedicate alla cura degli altri, e dall’altra un minimo di 12 ore di lavoro remunerate (work part time for all) con un massimo di 30 di cura. Per tutti quindi Nedelski immagina una quota di lavoro remunerato ed una di cura. Si tratta qui di agire sui codici di comportamento sociale, facendo diventare “disdicevole” un tempo lavorativo prolungato che non contempli le ore gratuite di cura.”

Decisamente molto vari i modi in cui è  stato inteso il rapporto fra economia, salute e felicità… ulteriori spunti?

Sì, ne citerei ancora un paio. Giampiero Griffo, presidente del World Council of Disabled Peoples’ International, si è chiesto in che modo gli studi sul benessere tengano conto del punto di vista di chi vive in una condizione di invalidità, intesa non come deprivazione ma come espressione di una diversità che necessita dell’ “abbassamento di ostacoli” per poter esprimere pienamente le proprie potenzialità. Oppure l’epidemiologa svizzera Nicole Probst-Hensch che ha sottolineato come il benessere e la felicità lascino tracce genetiche fenotipiche misurabili. In questa prospettiva i biomarcatori potrebero rivelarsi uno strumento potentissimo per conferire oggettività biologica a ciò che emerge dagli studi soggettivi. Se oggi nelle banche dati sul benessere si potessero incrociare le tracce che la felicità lascia nel corpo, con gli aspetti psicologici soggettivi, si identificherebbero meglio le relazioni di causalità fra i vari fattori, e si potrebbero individuare interventi che migliorano la vita delle persone. Qui si tratta di usare la ricerca sulla genetica come alleato delle policy per costruire il benessere di tutti.

Anche qui un magnifico plusvalore dato dalla “relazionalità ” fra varie discipline…

“Sì. Devo dire che la dimensione relazionale è stata vissuta in maniera straordinaria in questo convegno, a  cominciare dai relatori principali, i cosiddetti “keynote speaker”, che contrariamente a quanto normalmente accade hanno partecipato in maniera assidua alla conferenza, essendo sempre presenti ed ascoltando tutto e tutti. Poi il clima, decisamente non competitivo e molto cordiale, ha favorito una dinamica diversa da quello a cui siamo abituati nel mondo accademico ed ha creato ponti inimmaginabili in questi contesti: in molti dopo la conferenza ci hanno ringraziato per questo. Infine un  tocco unico l’ha dato l’arte. In parallelo al classico “call for papers” ne era stato lanciato uno sui generis rivolto a studenti della scuola d’arte e di teatro associata alla SUPSI. Ne sono scaturite una serie di performance teatrali realizzate nella serata di venerdì: un punto di vista – quello dei giovani artisti – davvero sorprendente, con una critica feroce alla società dei consumi che ha rappresentato uno dei momenti più alti della conferenza.”

Fonte: EdC-online.org


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