United World Project

Workshop

L’esperienza ecuadoriana al via

 
3 Maggio 2016   |   , ,
 

Il workshop sull’interculturalità inizia alle dieci del mattino, ma dalle sette qualcuno è già in giro: c’è chi approfitta per studiare, chi per scrivere alla propria famiglia e chi inizia a preparare la colazione. Pian piano, il Centro Mariapoli “Concordia” si popola di voci e accenti, profumi e colori. Edward, giovane filippino che ha deciso di dedicare un anno della sua vita mettendosi a disposizione del Movimento Gen, è alle prese con una videoconferenza in cui 16 relatori parlano a 200 persone collegate da tutto il mondo. Argomento principale: la pace. In circa tre ore, scorrono esperienze concrete che puntano a costruire una cultura della pace.

Dopo una ricca colazione, si inizia. Presenti 13 nazionalità diverse, ma nei prossimi giorni si uniranno al gruppo giovani rappresentanti di altri Paesi. Un crescendo che porterà al 7 maggio, a Quito, a gridare a tutto il mondo che la fraternità universale è possibile!

Viene introdotto il workshop e si indirizza subito l’attenzione al cuore del programma: «questo non sarà un viaggio turistico, ma un viaggio nella “relazione”. Relazione con noi stessi, con gli altri, con la natura, con le cose e con il trascendentale».

Wlliam e Sami, ci presentano il popolo “Kitu Kara” (figli del sole retto), una delle comunità indigene più antiche dell’Ecuador, riconosciuto ufficialmente nel 2003, al quale attualmente fanno parte 9.000 famiglie. Sami ci presenta le tradizioni, i credi e le usanze di questo meraviglioso popolo: «il cuore pulsante della nostra tradizione è il rispetto con la Madre Terra». Anche il senso di comunità è molto forte per il pueblo Kitu Kara: «quando qualcuno arriva nelle nostre comunità, viene accolto come se facesse parte da sempre della nostra famiglia. Perché accogliendo gli altri, si accoglie sé stessi». Ci presenta anche il “corazonar”: «occorre rimettere al centro l’essere umano e sentirsi parte di uno spazio. Nessuna persona è può sentirsi realizzata se non è in equilibrio perfetto con la natura, se non è rispettoso e pienamente consapevole della realtà in cui vive; essere in profonda connessione con ciò che ci circonda».

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Segue una carrellata spontanea di esperienze e condivisioni: Italia, Slovacchia, Perù, Filippine… tutti raccontano qualcosa della loro terra ed esperienze concrete di vita vissuta. Melchior, giovane burundese, ci racconta di quanto è importante l’esperienza interculturale che sta vivendo all’Istituto Universitario Sophia: «vivo con altri 7 giovani, tutti provenienti da Paesi diversi. All’inizio, era un po’ difficile ma poi, conoscendosi, ascoltandosi e capendo profondamente le proprie tradizioni, abbiamo riscoperto la bellezza della diversità».

In una delle pause, poi, conosco Catalina, giovane ecuadoriana che vive a Quito: «una delle sfide di oggi è quella di avere rapporti continuativi con i nostri coetanei. Quando stavamo organizzando la Settimana Mondo Unito, ci siamo detti che non poteva finire in qualche giorno di evento. E allora abbiamo iniziato a sognare delle scuole permanenti di pace! Pian piano, il sogno si sta facendo realtà. Stiamo lavorando affinchè già a giugno possa esserci la prima tappa di questo percorso. L’idea è quella di coinvolgere una ventina di persone, leader di gruppi giovanili, e vivere insieme un weekend nel quale approfondire cosa significa costruire la pace. Non solo da un punto di vista teorico, ma anche pratico, andando a visitare comunità, esperienze come il laboratorio di economia solidale, e così via… Abbiamo già contattato il Governo, alcune università, varie associazioni e tutti si sono detti entusiasti dell’idea».

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Nel pomeriggio, insieme ad Annarita, riviviamo gli eventi storici delle comunità andine. L’invito è quello di «cercare di leggere e rileggere la storia non facendosi condizionare. Purtroppo siamo abituati a ragionare in termini di dominatori e vinti, di culture superiori ed inferiori. Ma tutti siamo uguali. Tutti fratelli e sorelle. Anzi, nell’incontro fra culture diverse vi è una possibilità: quella di creare ponti fra persone e storie, fra tradizioni e valori. Tutto sta nell’accogliere l’altro senza giudizi ne’ pregiudizi, sentendosi tutti figli di una stessa famiglia umana».

Insomma, è appena il primo giorno ma siamo partiti a razzo! Da domani, poi, si partirà alla volta delle comunità indigene. Qualche giorno in giro per la foresta vivendo con loro… ma vi diremo di più al prossimo aggiornamento!

Fonte: di Francesco Ricciardi http://cittanuova.it/


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