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Workshop

Terza tappa in Ecuador

 
4 Maggio 2016   |   , ,
 
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Appena arrivati ad Ambato, ci accorgiamo subito di essere in un posto e in un giorno speciale. Nella piazza del paese, infatti, è in corso il mercato settimanale. Bambini, giovani, adulti e anziani con vestiti tipici, che condividono i prodotti della loro terra. In mezzo a questo meraviglioso festival di colori e sapori, ecco apparire Estefania, ragazza 21enne impegnata nella promozione della cultura del proprio popolo. Ci mostra con orgoglio il suo vestito: una camicia bianca con ricami ed al centro la stella andina, un mantello rosso con una spilla (tupuchi) che simboleggia l’appartenenza alla comunità, una fascia ornamentale ed una gonna nera. Il tutto in un mix di eleganza, sobrietà e fierezza che rende la sua descrizione un momento meraviglioso!

terza tappa

Con lei ed i suoi amici, andiamo presso la “Unidad Educativa del Milenio”, una scuola Kisapincha che punta alla interculturalità. Il preside ci racconta che «la scuola accoglie ragazzi dai 5 ai 17 anni. Il nostro obiettivo è promuovere la conoscenza delle proprie origini ma in una prospettiva di interculturalità. È per questo, ad esempio, che utilizziamo tre lingue: il Kichwa (lingua madre dei popoli indigeni), lo spagnolo e l’inglese. Inoltre, i bambini imparano fin da piccoli l’importanza della vita comunitaria. L’integrazione e l’inclusione sono essenziali e parte dei programmi educativi. Attualmente, nei nostri programmi sono coinvolti 38 docenti, 130 studenti e 520 genitori».

Partiamo per la seconda tappa del nostro viaggio. Destinazione Pucara, dove ci aspetta un “guaca” (un luogo sacro). Una leggera pioggerellina accompagna il nostro viaggio. Stiamo per scendere dall’autobus ma ci aspetta una sorpresa: non essendo parte della comunità Kisapincha, occorre farci riconoscere dalla Terra e farci accettare. Per questo, occorrerà fare tre giri attorno al “guaca”. Ci sembra una bellissima occasione per poter accogliere profondamente i costumi di questo popolo. Perciò, accettiamo con gioia. Alla fine dei tre giri, un raggio di sole illumina la piazza. I nostri amici indigeni sorridono e ci dicono che «la Terra ci ha riconosciuti ed accolti. Ora possiamo fare festa!».

terza tappa 3

Anche il pranzo è una esperienza straordinaria: al centro della sala c’è un tavolo sul quale sono stati preparati delle pietanze tipiche. In piedi, attorno al tavolo, mangiamo camminando così da vivere una esperienza comunitaria! Insomma, anche il pranzo diventa un momento per sentirci ancora più fratelli.

Ripartiamo e, questa volta, ci aspetta qualche ora di viaggio. Durante il viaggio, non mancano occasioni per conoscere qualcosa di più dei miei compagni di viaggio. Edward, filippino, mi racconta che «durante l’ultimo tzunami ho visto crollare tutto attorno a me. In poche ore, tutto quello a cui tenevo è sparito… molte persone sono morte e credevo di morire anch’io. Quando tutto quello è finito, ho capito che per me era iniziata una seconda vita; mi era stata concessa una seconda chance. Per questo, ho voluto donare un anno della mia vita per gli altri! E questo anno ha cambiato la prospettiva della mia vita… ora mi sento più uomo, più completo. Ho capito che voglio vivere la mia vita amando le persone che mi passano accanto».

terza tappa 2

Cirangelo, brasiliano, mi racconta di essere arrivato in Ecuador da 2 mesi: «quando c’è stato il terremoto, ho sentito qualcosa dentro di me. Era un grido: il grido delle persone che stavano soffrendo. Pian piano che arrivavano le notizie, si capiva sempre più chiaramente che era una tragedia: quasi 1.000 morti, decine di migliaia gli sfollati… Ho deciso di partire per mettermi a servizio degli altri. Lì mi hanno chiesto di ascoltare le persone, centinaia di persone ogni giorno. Per tutta una settimana ho ascoltato storie e, ogni volta, dovevo fare vuoto dentro di me per accogliere fino in fondo tutto il dolore e la sofferenza di chi mi era accanto. Un giorno ho visto 6 bambini seduti per terra. Erano bambini ma avevano facce da adulti, solcate dalla sofferenza. Avevano lo sguardo perso nel vuoto. Dovevo fare qualcosa. Ho iniziato a giocare e loro, pian piano, si sono avvicinati… alla fine, hanno ritrovato il sorriso. E, anzi, nei giorni successivi mi sono venuti a trovare anche i genitori per poter parlare e condividere il loro dolore… Purtroppo, dopo solo una settimana sono dovuto rientrare. Ma fra qualche settimana ripartirò perché sento che non voglio stare nella tranquillità delle mie giornate sapendo che ci sono persone da amare concretamente!».

Il viaggio continua ed il paesaggio è meraviglioso. Tutto attorno a noi un “alfombra verde”, un tappeto verde che ci segue per chilometri e chilometri… ma poi, ad un certo punto, in mezzo al verde e alle nuvole, ecco spuntare il vulcano Chimborazo che si innalza con tutta la sua maestosità. Ci fermiamo perché lo spettacolo è degno di essere contemplato. E lì, in mezzo al verde, ammirando uno degli spettacoli più belli del mondo, mi rendo conto che la natura fa davvero cose meravigliose… ci troviamo a far festa come dei bambini. Selfie, foto di gruppo, corse e risate… mi vengono alla mente le parole di Catalina che, nei giorni scorsi, ci aveva detto che «nella tradizione ecuadoriana, più aumenta il rapporto con la natura, più aumenta il rapporto fra gli uomini»!

terza tappa 4

Arrivati a Salinas, a 3.500 metri sul livello del mare, incontriamo alcuni giovani che ci raccontano l’intuizione di padre Antonio Polo: «oggi, 28 imprese locali vivono una realtà di economia solidale». Ana Rosa ci presenta la realtà del centro giovanile: «l’idea è quella di creare uno spazio di dialogo e di condivisione, dove tutti possono sperimentare l’esperienza comunitaria». Il momento più toccante è quando ci fanno vedere una presentazione con le tante attività che organizzano: attività semplici e più complesse, tutte finalizzate alla socializzazione e alla condivisione; a creare una cultura della comunità e della solidarietà; a sperimentare una realtà collettiva e di famiglia; insomma: a creare ponti di fraternità!


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