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Via Pacis, per non mollare mai!

 
21 Settembre 2017   |   , ,
 

Appunti dalla “Rome Half Marathon Via Pacis”, la mezza maratona per la pace.

Sono solo le 7.20 di una domenica mattina di fine estate e di solito, quando esco a quest’ora, la città ancora sonnecchia, testimoni anche i vagoni della metropolitana che regalano il miracolo di un posto a sedere a scelta!

Stamattina non è così: la metro è già invasa da tanta gente: giovani, famiglie, anziani, gruppi di amici, belli svegli e con una caratteristica: abbiamo tutti, io compreso, una tenuta sportiva e, ai piedi, le scarpe da corsa.

La fermata è la stessa per tutti. Ottaviano, nel quartiere Prati di Roma, vicino a San Pietro. Da lì infatti, fra poco più di un’ora e mezza, partirà la prima edizione della Rome Half Marathon Via Pacis.

Pace, ma anche integrazione, inclusione, solidarietà: sono questi i principi che ispirano questa mezza maratona (poco più di 21 Km), che vede arrivare a Roma oltre 6000 runners di 43 nazioni diverse.

Arrivo in Piazza San Pietro e Via della Conciliazione sembra l’atrio di un grande condominio, dove tutti si conoscono: c’è gente che fa stretching, chi sistema le pettorine, chi beve qualche intruglio vitaminico per darsi energia, un gruppo di ultrasettantenni che ripassa il percorso per capire se ce la può fare (e ce la farà!). Il popolo della mezza maratona è variopinto: anche perché a questa si accompagna una corsa da 5 Km non competitiva alla quale partecipa la maggior parte della gente. Sarà in questo secondo gruppo che troverò le storie di oggi.

Infatti, il mio essere a San Pietro così presto e con la tuta da ginnastica, non devono trarre in inganno: io non correrò, o almeno non nel senso che desidererei, ma sono a San Pietro per realizzare alcuni servizi giornalistici sull’evento. Avrò bisogno di storie, di persone che mi raccontino perché sono qui…D’altronde ogni runners avrà con sé, scritto su un foglio, il suo messaggio di pace incentrato sull’hastag “#io corro perché…”, messaggio che rilascerà, a traguardo raggiunto, in alcune colonne trasparenti che simboleggiano le colonne della pace.

Non mi resta che mettermi al lavoro e, con la mia migliore faccia tosta, mi avvicino ai gruppi, incurante delle possibili reazioni negative: tanto nessuno mi prende per un reporter così come sono vestito, non come i miei colleghi lì presenti, che hanno in tanti giacca e cravatta.

Noto un gruppo di amici impegnato nei selfie di rito; mi fermo, e chiedo se gentilmente rilascerebbero l’intervista: Fabiana è un po’ la capogruppo, romana, solare, bella: «Ehmbé! Si corre per la pace, questa è più che una corsa» – mentre Luca mi ricorda che lo sport da sempre è occasione di unione e fratellanza tra i popoli: «Vedi» – mi dice con tono assorto -«che sia bianco o nero, cristiano, musulmano o ateo, l’uomo corre allo stesso modo, mettendo un piede davanti all’altro, e la fatica che si prova è la stessa; la sfida è capire la fatica dell’altro, il bisogno dell’altro, perché il traguardo alla fine è uno solo, e in questo lo sport insegna tantissimo…».

Luca ha ragione, e di quello che dice qui oggi ce ne sono le prove: i runners infatti appartengono a varie confessioni cristiane e a diverse religioni: cristiani cattolici, valdesi e ortodossi ma anche musulmani, ebrei, atei. Tutti si salutano, si fanno coraggio, sembra appunto di conoscersi da tempo.

Ci sono persone con disabilità, rifugiati, atleti azzurri, bianchi e neri, membri di associazioni o singoli sportivi. Vederli ora lì ai nastri di partenza tutti insieme fa un certo effetto, e se quello che Luca dice è vero, la corsa è un mezzo ma diventa anche contenuto.

Parte per prima la mezza maratona. Dopo circa 25 minuti, lo start è per la 5 Km non competitiva.

Aumenta l’attesa, sale il pathos anche per la richiesta delle forze dell’ordine affinché tutto avvenga nel miglior modo possibile.

La corsa iniziata è davvero un segno tangibile che la pace è più che una necessità, è un desiderio che accomuna le persone più diverse: il percorso, spettacolare, unico al mondo, in 21 chilometri e 97 metri attraversa alcuni degli angoli più belli di Roma, ma soprattutto fa tappa nei luoghi simbolo della fede come il già citato San Pietro ma anche la Sinagoga, la Moschea, la Chiesa Valdese e la Chiesa Ortodossa. E proprio a testimoniare il principale intento della corsa, i rappresentanti delle comunità religiose leggono insieme un messaggio di pace prima dello start ufficiale. Lo staff prepara le medaglie per i maratoneti, le telecamere cominciano a sistemare l’obiettivo per gli arrivi, si posizionano i nastri del traguardo, e il “tifo” della gente che è accorsa si fa sempre più intenso, le urla e gli applausi che arrivano da lontano diventano sempre più forti, fino a quando dal fondo di Via della Conciliazione sbucano le moto della polizia che “scortano” i primi runners che stanno concludendo il loro percorso: tra questi c’è il vincitore.

È un boato di applausi e festa quasi da non credere. Siamo tutti diversi, ma siamo tutti insieme a tifare per lo stesso obiettivo, la pace, che sembra quasi incarnarsi nelle lunghe falcate di Eyob Fanel, atleta italiano di origine eritrea. È il primo, sta per tagliare il traguardo in un tripudio di emozioni e applausi! La sua vittoria e il tifo che lo ha accompagnato, sono un’immagine significativa di integrazione, inclusione, dialogo.

«La pace comincia così» mi racconta Elena, 78 anni. Anche lei ha corso, ha compiuto tutta la 5 Km e, allenata com’è, ha nostalgia delle maratone e mezze maratone che in passato ha disputato in maniera amatoriale. Oggi è mamma e nonna, e soprattutto tifosa!

«Quando litigavo con mio marito, andavamo a farci una bella corsa per scaricare le tensioni, e davvero lo sport è stato per noi un mezzo per ritrovare la pace, per arrivarci prima, per capire il valore della fatica di raggiungere un obiettivo e non smettere di credere che l’impossibile desiderato è possibile»- mi racconta.

Saggezza sopraffina di chi sa cosa vuol dire non mollare mai. La corsa di stamattina lo ha insegnato un po’ anche a tutti noi.


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