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Operazione Mato Grosso, 100 missioni di volontariato in America Latina: “La possibilita´di lavorare per gli altre e´aperta a chiunque”

Presente in Brasile, Perù, Ecuador e Bolivia, Operazione Mato Grosso porta avanti oltre cento missioni fondate su educazione, lavoro e solidarietà. Jacopo Manara, volontario da anni, racconta di cosa si tratta.
La storia di Operazione Mato Grosso, che da più di mezzo secolo compie un’eccezionale opera di volontariato in diversi paesi dell’America Latina, è davvero straordinaria. L’abbiamo riassunta con le parole di Jacopo Manara, che ringraziamo per come ci ha aiutato a raccontarla nell’essenza e nei dettagli. Con lui siamo partiti dal principio.

Jacopo, com’è iniziato tutto?
L’operazione Mato Grosso è nata nel 1967, senza un progetto a tavolino. In quell’anno padre Ugo De Censi, sacerdote salesiano responsabile degli oratori di una parte del Nord Italia, propose ad alcuni dei suoi ragazzi di vivere un’avventura nel Mato Grosso: a Poxorèu, in una missione portata avanti da un sacerdote suo amico. Per aiutare nella costruzione di case.
Eravamo alla vigilia del ’68
Era l’inizio della contestazione giovanile e Padre Ugo si rendeva conto che le parole religiose arrivavano con meno forza al cuore dei ragazzi. Da qui l’intuizione di proporre qualcosa di concreto, un’esperienza coi più poveri nel cuore del Brasile. Diceva spesso che “fu come gettare un fiammifero in un barile di benzina”: un’esplosione di entusiasmo nei ragazzi.

La scintilla…
Esattamente. Un’avventura in tutti i sensi, a partire dal viaggio in nave di questi giovani. Parliamo di quasi sessant’anni fa. Alcuni rimasero per aiutare in altre opere, altri tornarono in Italia con l’accordo di raccogliere altri fondi. Da questa piccola rete è nata quella grande di Mato Grosso oggi. Quei giovani volontari sono diventati adulti, spesso famiglie e persino persone in età avanzata. Ma ancora dedicano il loro tempo libero ad attività il cui ricavato va all’OMG.
Quali possono essere queste attività?
Catering, gestione dei rifugi, mercatini dell’usato, ne potrei citare altre. Sempre finalizzate a mandare il ricavato alle missioni, che ormai in Sud America sono più di 100, tra case e strutture, sparse tra Brasile, Equador, Bolivia e Perù.

La struttura col doppio pilastro, uno in Sud America e l’altro in Italia, è rimasta la stessa?
Certamente. È solo molto cresciuta. Nelle missioni, tra sacerdoti, laici e famiglie, ci sono circa 300 volontari. In Italia ce ne sono migliaia, anche se, in entrambi i casi, non ci sono numeri estremamente precisi, perché Operazione Mato Grosso ha scelto da sempre di non volersi costituire istituzionalmente. Vuole rimanere un movimento giovanile in cui chiunque è libero di entrare, uscire e partecipare.
Com’è organizzato il lavoro?
Hanno un ruolo centrale i giovani, sia in Italia che in America Latina, dove, ormai da decenni, la missione si identifica molto con la parte educativa: nelle scuole, negli oratori che gestiamo, in generale nel lavoro sociale.
Sulle opere costruite in Sud America, hai qualche storia particolare da raccontare?
Potrei fare molti esempi. A Poxorèu fu subito costruita una scuola e poi una sorta di infermeria. Oggi gestiamo due ospedali: in Perù, a Chacas, e in Equador, a Sumbaua. Pur continuando a lavorare sull’assistenza sanitaria (in luoghi dove è privata, e le persone che vivono sulle Ande non vi hanno accesso) gestiamo case di accoglienza per persone con disabilità, per malati terminali e anziani soli. Fino agli anni ‘90 abbiamo lavorato anche per la costruzione di acquedotti. Ora gli stati, da questo punto di vista, sembrano meglio organizzati.

Ecco, qual è il vostro rapporto con le istituzioni locali?
È un discorso ampio, perché ogni Stato in cui operiamo è diverso dagli altri ed ha vissuto differenti fasi politiche. In Perù, nel corso del tempo, sono stati uccisi quattro nostri missionari. Due negli anni ‘90, molto travagliati a causa del terrorismo. Giulio Rocca, un laico, e Padre Daniele Badiali. Entrambi colpiti perché i terroristi consideravano la nostra opera missionaria come un addormentamento delle coscienze.
Non credo fosse così…
Non è mai stata nostra intenzione e lo dimostra l’attenzione all’aspetto educativo/formativo. Non abbiamo mai disincentivato il loro amore per la terra e la patria. In Perù, tuttavia, dove io stesso ho vissuto due anni, Padre Ugo De Censi, negli anni è diventato una figura di riferimento anche a livello politico, apprezzata fino ai massimi livelli. Questo ci ha facilitato, mentre in altri stati, dove lui non ha vissuto e agito direttamente, è meno facile muoversi.
Padre Ugo può essere considerato il fondatore di Operazione Mato Grosso?
Lui è stato l’anima, l’uomo che ha sempre accompagnato OMG, sostenendo i ragazzi, seguendoli, ma non mi piace definirlo il fondatore perché da noi ha sempre dominato il lavoro di squadra. Padre Ugo non è stato la mente organizzativa: è stato il cuore.
Una figura autorevole
Assolutamente. Mi piace ricordare un incarico affidato a OMG direttamente dal Presidente del Perù, proprio grazie all’autorevolezza Padre Ugo: occuparsi di una delle più grandi opere di assistenza sociale della capitale Lima. L’orfanotrofio Puericulturio, fondato dallo Stato all’inizio del Novecento. Padre Ugo, nell’ultimo anno della sua vita, accettò questo complesso incarico. La grande sfida di una realtà in cui vivono oggi più di 300 bambini con storie di strada e di abbandono.

In Italia, come è organizzato il lavoro?
Una parte – catering, mercatini e rifugi – è gestita da adulti, ma non è tanto con queste attività, pur importanti, che avviciniamo i giovani a OMG. Lo facciamo soprattutto attraverso i cosiddetti “gruppi del Mato Grosso”, presenti in tutta Italia e composti da circa 20 ragazzi ciascuno, tutti compresi tra i 15 ai 25 anni. Si ritrovano insieme nel tempo libero per svolgere diversi tipi di lavoro manuale: giardinaggio, imbiancature, sgomberi di cantine, piccoli traslochi. Lavori semplici il cui ricavato va interamente in beneficenza. Questo è il cuore di OMG in Italia. Molti di quelli che poi vanno in missione, hanno incontrato la nostra realtà attraverso questi gruppi. Tra loro si creano amicizie non superficiali, legate a un ideale.
Poi loro stessi scelgono?
Chi la missione, chi di rimanere in Italia e magari crescendo, di offrire servizio con i catering, i mercatini dell’usato o i rifugi sulle Alpi. Gestiti o (in alcuni casi) da noi stessi costruiti. Non c’è mai, però, una separazione netta tra giovani e adulti, ma scambio, dialogo, sinergia.
Poi ci sono realtà come quella di Lanuvio, vicino Roma, dove tu stesso operi. Di cosa si tratta?
È una realtà come altre, in Italia, da una decina di anni, all’interno di OMG. Ci piace chiamarle “Case della carità”. A volte date in concessione da parrocchie, nel caso di Lanuvio da un privato che conosce bene OMG. In queste case si propone, ai giovani desiderosi, di spendere un periodo della loro vita lavorando a tempo pieno per le missioni. Lo chiamiamo “Anno della carità”. Spesso è vissuto da giovani che hanno appena finito le scuole superiori. Una sorta di anno sabatico speso pienamente nella vita comunitaria.
Queste “case” sono tutte simili?
Sono diverse: in alcune c’è un sacerdote, che è anche riferimento spirituale. In quella di Lanuvio, che è molto bella e si trova all’interno di una tenuta, ci siamo mia moglie ed io, ma il cuore vero rimangono i ragazzi. Ora ce ne sono circa 15. Possono stare tutto l’anno, solo una parte o decidere di rimanere di più. Sempre lavorando per gli altri.

Di cosa vi occupate in particolare a Lanuvio?
Della vigna che occupa circa 40 ettari di terreno. Non la gestiamo direttamente ma vi lavoriamo.
In che modo OMG si relaziona alla fede, alla chiesa, all’essere cristiani e quanto, invece, si apre alla solidarietà in modo laico?
Così come non abbiamo uno statuto o un’iscrizione da firmare, regole troppo rigide dentro le quali stare (cosa che mi ha avvicinato molto a questa esperienza), ci definiamo aconfessionali. È un termine molto dibattuto dentro OMG, proprio perché ognuno lo condisce di una sfumatura diversa. Personalmente lo interpreto cosi: chiunque può far del bene agli altri. Credente o non credente, agnostico o ateo. Da noi la possibilità di lavorare e sporcarsi le mani per gli altri è aperta a chiunque. Credo che per avvicinare i ragazzi, soprattutto in Italia, sia importante essere aconfessionali.
Il che non preclude la spiritualità, immagino…
Da qui si apre un cammino, e certamente padre Ugo ha messo un seme di spiritualità nella storia di OMG. Aconfessionalità non vuol dire indifferenza al tema religioso. Più si va avanti nel cammino più si ha bisogno di verità, e la strada per incontrarla può anche essere spirituale.
Qual è invece il vostro rapporto con le istituzioni in Italia? Vi viene dato conto del grande lavoro che fate?
In una storia lunga come la nostra, ci sono stati alcuni riconoscimenti e sostegno. Per esempio a Chacas, in Perù – dove Padre Ugo ha contribuito a realizzare tantissime opere – c’è la storia di una centrale idroelettrica immensa. Grazie all’aiuto dello Stato Italiano e dell’Enel, è stato possibile anche portare l’energia, attraverso cavi e tralicci, nei paesi limitrofi delle Ande.

In Italia?
Anche qui abbiamo dei legami molto belli con tante istituzioni, ma è anche tutto un po’ più complicato. Perché è piuttosto impegnativo lavorare con i giovani e il volontariato agendo nella complessità delle leggi attuali, degli aspetti burocratici, amministrativi, giuridici e assicurativi. La sicurezza sul lavoro è fondamentale, ci mancherebbe, ma far quadrare tutto, specialmente nel volontariato, richiede molta energia.
Possiamo leggerle come le nuove sfide di un movimento che cresce?
Sfide necessarie dalle quali non possiamo sottrarci. Ci sono figure, dentro OMG, che si occupano di tutti questi aspetti con professionalità e competenza, pur in una dimensione di volontariato. Io li ringrazio, perché si tratta di un modo diverso e complementare di vivere la missionarietà. Secondo me, anche il più complicato e per questo gliene sono grato.
Possiamo dire, per concludere, che l’aspetto educativo molto curato da OMG in Sud America, c’è anche in Italia con la formazione dei giovani?
Credo che il lavoro educativo nelle missioni diventa sempre più simile a quello che dobbiamo svolgere in Italia. La povertà che incontriamo lì è sempre più spesso anche morale, sociale, etica: una crisi molto simile a quella che vediamo in Italia. Povertà umane sempre più in rilievo in entrambi i luoghi.




