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La cultura della cura come percorso di pace

 
 
Di Daniela Ropelato[1]

Un commento al messaggio di Papa Francesco per la 54° Giornata Mondiale della Pace che si celebra ogni anno il 1° Gennaio.

Non mi ha meravigliato ritrovare il tema della cura nelle agenzie di stampa che hanno diffuso il Messaggio di Papa Francesco per il 1 gennaio 2021, 54esima Giornata mondiale della pace. Mi ha dato piuttosto un sano scossone, e forse è stato così anche per tanti di noi che lavoriamo per #daretocare, quasi che papa Francesco ci dicesse: avanti, siete con me, non rallentate…

In questi mesi ci aveva parlato di cura a più riprese: nelle settimane più dure della pandemia e nelle sue catechesi estive, fino alla “Fratelli tutti” del 4 ottobre scorso, quando ha voluto mettere al cuore di quel testo, che ci è così vicino, proprio la parabola della cura, il racconto del Samaritano.

Così, nel Messaggio per il 1 gennaio, ci è sembrato di leggere una nuova pagina della “Laudato sì” e della “Fratelli tutti”: se “l’incuranza sociale e politica fa di molti luoghi del mondo delle strade desolate, dove le dispute interne e internazionali e i saccheggi di opportunità lasciano tanti emarginati a terra sul bordo della strada”, papa Francesco indica un nuovo “percorso di pace”, una vera e propria “bussola di principi” per imprimere una “rotta comune” al nostro camminare.

È tempo di fare una scelta precisa: “prenderci cura gli uni degli altri e del creato, per costruire una società fondata su rapporti di fratellanza”, fino a “diventare profeti e testimoni” di una “cultura della cura per debellare la cultura dell’indifferenza, dello scarto e dello scontro”. Cultura che si fa “impegno comune, solidale e partecipativo”, capace di tessere una nuova socialità. In tanti siamo grati a papa Francesco anche per questa osservazione: “E ciò sarà possibile soltanto con un forte e diffuso protagonismo delle donne, nella famiglia e in ogni ambito sociale, politico e istituzionale”.

Nel messaggio, il capitolo dei principi sociali che ci possono guidare lungo la strada è nitido. Papa Francesco parla di dignità, di solidarietà con i più poveri, di bene comune, di salvaguardia del creato, non in astratto, ma dentro i conflitti e le ferite sociali. Mi ha colpito molto il forte richiamo alla “dispersione di risorse” utilizzate per le armi, “risorse che potrebbero essere utilizzate per priorità più significative per garantire la sicurezza delle persone, quali la promozione della pace e dello sviluppo umano integrale, la lotta alla povertà, la garanzia dei bisogni sanitari”. E poi l’attenzione ai processi educativi in famiglia, nella scuola, nella comunicazione.

Mi fermo qui perché non voglio togliere a nessuno il gusto di leggere in profondità il messaggio, per farci contagiare dalla “grammatica” della cura. Non a caso, vediamo quanto ci sia bisogno di questa prospettiva davanti alla crisi sanitaria e ambientale, mentre cresce l’attenzione ai beni comuni urbani, ai territori e alle periferie, ma anche dove si lotta per il diritto al lavoro, dove a soffrire sono gli anziani, i malati, i disabili, dove le migrazioni dei popoli trovano ancora le strade chiuse…

Un’ultima osservazione: non è raro che qualcuno si chieda perché oggi, accanto ad altri solidissimi quadri di riferimento, stia emergendo il prendersi cura come agenda etica globale – com’è stata chiamata. E’ una domanda che potremmo fare anche a papa Francesco: perché, nel cammino verso la fraternità universale, dare rilievo ad una idea complementare? Forse non dobbiamo dimenticare che è la vita a guidarci e, come papa Francesco ci ha insegnato, “la realtà è superiore all’idea[2]”. Ogni tempo pone domande differenti e, mentre matura il patrimonio multiforme della nostra umanità, anche il punto di osservazione che assumiamo concorre alla elaborazione di un nuovo pensiero, alla produzione di strumenti e di percorsi coerenti. Il nostro punto di osservazione oggi è questo: potremmo dire che la prospettiva della cura, il prenderci cura gli uni degli altri oggi ci avvicina direttamente e più concretamente ad alcune dimensioni della vita umana e del cosmo che ci interpellano con urgenza. In qualche modo, si tratta di comprendere il rapporto tra l’orizzonte che abbiamo sempre davanti e le diverse vie che possiamo percorrere per raggiungerlo e che lo anticipano.

Inoltre, lungo la strada, abbiamo incontrato altri che stanno studiando lo stesso tema. Una di queste piste di ricerca, per fare un esempio, connette la cura alla responsabilità: guardare la realtà con uno sguardo di cura mette in luce quanto siamo vulnerabili e per questo responsabili l’uno dell’altro. Si tratta di uno studio importante anche per giustificare la responsabilità inter-generazionale nella salvaguardia dell’ecosistema. Da questo punto di vista, il tema della cura ci apre una serie di finestre, una visione integrativa sulla realtà, al punto che potremmo dire che oggi la stessa socialità umana, la stessa politica non può più essere compresa senza questa dimensione di sollecitudine, di sostegno e di condivisione, di servizio efficace, di partecipazione. Uno straordinario punto di osservazione, dunque.

Senza dimenticare il valore del camminare insieme e della prospettiva complessiva che non può venire meno. Forse papa Francesco sarebbe contento di sapere che se la cultura della cura e la sua bussola hanno impresso direzioni precise al nostro impegno, dall’altra, la fraternità, “paradigma globale di sviluppo politico”, come l’ha definita Chiara Lubich alla Giornata dell’interdipendenza del 2003, è la stella polare in questo cambio d’epoca, principio regolatore trasparente anche del prendersi cura, capace di aprire di continuo le relazioni e le istituzioni all’universalità, di comporre concezioni antagonistiche, ma anche le diverse parzialità nell’unità di un disegno di bene. E questo è un capitolo che continua.

[1] Docente di Scienza politica, Istituto Universitario Sophia, Loppiano – Centro internazionale Mppu

[2] Cfr Papa Francesco, Evangelii Gaudium (233)


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