United World Project

Watch

“La musica è profondamente umana” – Intervista al pianista Paolo Vergari

 
6 Giugno 2025   |   Italia, Musica,
 

Il pianista Paolo Vergari ci parla del potere trasformativo della musica, del suo valore come linguaggio universale e del suo ruolo nella costruzione dell’armonia sociale.

Quella di Paolo Vergari è una storia fatta di musica. Il suo strumento è il pianoforte, suonato praticamente in tutto il mondo. Lo ha insegnato in molti luoghi, lo insegna ancora e ancora lo fa vivere. Ora è docente presso il conservatorio di Benevento e noi l’abbiamo incontrato per parlare di come l’arte può essere strumento per la crescita personale e l’incontro con l’altro, per la pace e l’armonia tra i popoli. Siamo partiti dall’inizio di questo suo viaggio straordinario.

Paolo Vergari
Paolo Vergari

Come è cominciato tutto?

Nella mia famiglia, molto semplice e genuina, c’era uno zio grande appassionato di musica. Suo figlio studiava fisarmonica e ne aveva una che in qualche modo arrivò in casa mia. Riproducevo melodie popolari sia con lei che col flauto imparato a scuola. Capii che mi piaceva e iniziai a studiare con un maestro. In pochi mesi mi innamorai di quella materia e intuii chiaramente che poteva essere la mia strada. Mi piaceva anche il calcio, e lo praticavo, ma la musica mi rapì da quest’altra passione.

Come iniziasti inserire il tuo talento nella società?

Da ragazzo, parliamo dei primissimi anni ’80, frequentavo la casa del Popolo legata alla sinistra italiana e in particolare al PCI.  Mi davo da fare, fino a quando incontrai i ragazzi con l’ideale del Vangelo e del mondo unito. Fu una seconda scintilla, nella quale trovai la possibilità di vivere concretamente i grandi valori conosciuti nell’esperienza politica. Notavo un’attenzione straordinaria per ogni persona, una gratuità che mi catturò. Non mollai quei ragazzi e la musica fu uno strumento per vivere al meglio i miei rapporti dentro la comunità. Filtrava il mio rapporto col mondo, mi aiutava a conoscerlo.

Da allora è cambiato qualcosa?

Col tempo la musica è diventata un modo straordinario per conoscermi e conoscere gli altri. Che la musica sia un linguaggio universale, uno spirito comune tra le persone, lo posso testimoniare in modo diretto. Con decisione.

Che ruolo ha, dunque, la musica nella formazione dei giovani?

È uno strumento fondamentale perché sottile: sa entrare a fondo ma richiede l’ascolto. La musica aiuta ad affinare l’udito, il senso forse più importante che abbiamo. Da qui nasce l’ascolto.

Parola importante

L’attitudine all’ascolto è la stessa per il grande musicista come per quello in erba. Crescere con la cultura dell’ascolto, forma la persona in un modo incredibile. Abituarsi ad ascoltare l’altro è molto prezioso, specialmente nel tempo che viviamo. La musica annulla ogni tipo di distanza. Temporale, fisica, culturale.

È ci ricorda che siamo tutti fratelli. Ci vedo qualcosa di miracoloso. Trovi?

L’arte, e ovviamente la musica, è qualcosa di profondamente umano. Per questo è universale. È  quello che rimane di una civiltà, ciò che meglio la racconta. Credo che abbia a che fare con Dio perché ci riporta alla creazione. L’arte inventa qualcosa che non c’era prima. Anche dove ci sono stati i Mozart, i Beethoven, i Bach, si può ancora inventare. Il processo creativo di un artista esprime più profondamente la persona. Per il credente, l’arte esprime la natura divina di un uomo.

La fisarmonica citata in precedenza, mi ha fatto venire in mente il film Padre Padrone dei Fratelli Taviani. Lì c’è un giovane pastore costretto tra le pecore, in mezzo alle montagne, da suo padre. Trova nella fisarmonica suonata da un viandante, la scintilla che lo porta alla scoperta di sè. A te che lavori anche con i giovani, chiedo: che potere ha la musica di farci compiere rivoluzioni interiori, di aiutarci a trovare la nostra identità?

Nasciamo musicali, perché dentro di noi abbiamo determinate predisposizioni. Poi, però, ci vuole un maestro che ha fatto strada prima di te e ti aiuta a formare la coscienza. A sentire e osservare. Nel caso della musica, a trovare la connessione tra espressione dei sentimenti e formule precise: una concatenazione armonica o determinati accordi che, messi insieme in un certo modo, creano atmosfera. Nei secoli, attraverso la musica abbiamo codificato i sentimenti. Oggi sono cambiati gli strumenti, c’è l’elettronica, ma gli stessi codici associano un tipo di musica a un sentimento. La musica arriva al cuore in automatico. Non c’è bisogno di conoscerla e la sua bellezza è facile da scoprire per un ragazzo. Anche se, va detto, per speculazioni economiche, oggi (nell’esperienza musicale più diffusa) si usano pochi colori emozionali, poche sfumature musicali.

Tra i tanti luoghi dove hai insegnato c’è l’istituto Magnificat di Gerusalemme, che ospita docenti e studenti di tradizioni culturali e religiose diverse. Dal punto di vista del dialogo, dell’incontro tra diversità, che esperienza è stata?

Porto nel cuore quell’esperienza. Tutto iniziò nel 2004, durante un viaggio a Gerusalemme. Mi presentarono un musicista francescano, padre Armando Pierucci, che aveva creato una scuola di altissimo livello. Li si creava tessuto sociale attraverso la musica. Sono andato per tre o quattro anni e ho dato il mio contributo finanziandomi con dei concerti organizzati in Italia. Gli Amici della musica di Modena, con cui collaboravo, hanno saputo di questa esperienza e hanno voluto organizzare un grande evento presso il teatro comunale di Modena con il coro di questa scuola e il contributo di musicisti ebrei e palestinesi. Ho provato a ripetere questa esperienza lo scorso anno e avevo già una data, ma non è stato possibile per via della guerra. Purtroppo ancora oggi il potere di un carrarmato è superiore a quello di un violino, ma io non perdo la speranza. Dobbiamo alzare il volume della musica.

Tra le tue numerose esperienze, c’è anche il cinema: hai lavorato alla colonna sonora del film Duns Scoto di Fernando Muraca. Come definiresti il rapporto tra immagini e musica?

Su questo tema, esiste un documentario eccezionale: Ennio, di Giuseppe Tornatore, su Ennio Morricone. Ci sono riflessioni che condivido. L’esperienza del film non rientra tra le mie principali ma è stato bello trovare l’ispirazione dalla sostanza filmica. Prima di allora ero sempre partito dalla musica che stava nella testa, e fu una scoperta. Da allora, invece, ho rivalutato la relazione tra narrazione e musica. Qui si entra nel concetto di musica pura, che basta a sè stessa per narrare, e ogni elemento esterno la rende meno nobile. C’è del vero, ma è vero anche che la musica sfugge all’oggettività, come vi sfugge l’uomo con la sua coscienza. La musica rappresenta la vita nella sua mutevolezza continua. È molto interessante quando l’oggettività delle immagini incontra la soggettività della musica. L’importante è trovare un equilibrio.

Con la musica hai girato il mondo. Alla luce di questa esperienza, che strumento della pace è la musica?

La musica crea subito famiglia. Toglie le barriere, alimenta il senso di comunità. Ad ogni latitudine. Bisogna però essere curiosi, non chiudersi nella propria cultura o ritenerla superiore. Una volta, in uno dei miei primi viaggi in Cina, a Shangai, mi venne chiesto di cantare una canzone. Era un’atmosfera di festa e intonai ‘O sole mio. Al ritornello c’era un coro enorme di cinesi che cantavano con me nella loro lingua.

Tra i luoghi in cui hai suonato ci sono l’Auditorium delle Nazioni Unite a New York e la sede dell’Unesco a Parigi. Che valore ha portare la musica in luoghi del genere?

A New York è stato bellissimo incontrare tanti musicisti di diverse culture. Suonare in certi luoghi fa sentire importante il lavoro che fai. Ti dà la sensazione che può cambiare il mondo. Nella sede dell’Unesco suonai per un omaggio a Chiara Lubich, che riceveva il premio Unesco. Lo feci con la ballerina Liliana Cosi, a cui sono legato da profonda amicizia.

Il tuo strumento è il pianoforte. Come lo definiresti?

Come colui che accoglie in sé gli opposti e unisce le diversità. Per questo è fantastico.

Ho letto di tante tue improvvisazioni con altri musicisti e strumenti. Che metafora può essere quella dell’orchestra per parlare della società umana?

La metafora perfetta della vita in relazione, della libertà del singolo che incontra gli altri. Suona liberamente, ma ascoltando i vari musicisti. Non può pensare che non esistano. Poi c’è la figura del direttore, che se ispirato sa ascoltare, intervenire quando serve e lasciare esprimere al meglio il talento dei professionisti nell’orchestra. È come il rapporto tra costituzione e libertà dei cittadini. O se vogliamo citare un personaggio a me caro, la libertà dalla legge di cui parla S. Paolo, la libertà che nasce dall’amarsi reciprocamente. Il gesto, il fatto musicale nasce e vive nel donarsi.

Anne Nygard-Unsplash
Anne Nygard-Unsplash

SHARE: