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Noi guatemaltechi uniti siamo più forti di un vulcano

 
17 Luglio 2018   |   Guatemala, Emergenza,
 
Guatemala, eruzione vulcano De Fuego

È passato un mese da quando è iniziata la prima eruzione del Vulcano di Fuoco in Guatemala. Nonostante il tempo trascorso, ci sono situazioni che si vivono come il primo giorno. Una di queste è l’incertezza.

Finora non conosciamo il numero esatto delle persone che sono morte sepolte e bruciate dal materiale piroclastico emesso dal vulcano. Mentre il governo ha fissato le cifre a 332 dispersi e 113 deceduti, varie organizzazioni e singoli cittadini delle comunità colpite sostengono che i morti sarebbero almeno 1500. Alcuni dicono di aver perso tra 15 e 20 parenti nella tragedia e ancora non sanno che fine abbiano fatto.

Foto di Alberto Cadorna

Un’altra situazione preoccupante riguarda le oltre diecimila persone che sono rimaste in rifugi temporanei, perché le loro case, terreni e proprietà sono stati inghiottiti dal materiale tossico espulso dal vulcano.

La terza circostanza è quella che sostiene sia coloro che hanno perso la famiglia che coloro che rimangono in rifugi temporanei: gli aiuti umanitari. Secondo modalità quasi senza precedenti, i guatemaltechi si sono organizzati in modi diversi e creativi per portare aiuto a coloro che ne avevano bisogno. Università, chiese, aziende, organizzazioni e privati ​​si sono riversati nelle strade per dare quello che avevano.

Foto di Alberto Cadorna

Annelise Fernández è una giovane che, come tanti altri, ha cercato il modo di mettere le proprie braccia e i propri mezzi a disposizione di chi ne aveva bisogno: “Vedere delle persone che trascorrevano tutto il giorno e tutta la notte prestando il proprio aiuto come volontari è una delle cose che più mi ha commosso. Penso che in quei momenti tutte le differenze si sono dissolte e abbiamo iniziato a lavorare”. Uno dei luoghi dove si è diretta è stata la sua università, dove ancora oggi continua la raccolta di oggetti per le oltre diecimila persone e aggiunge che “la cosa più incredibile è stata che a volte arrivavi sul posto e ti dicevano che c’erano già troppe persone che aiutavano. Sento che sono piccoli atti che danno speranza a un paese che soffre per la corruzione. È sicuramente la dimostrazione che c’è una nuova generazione che è più solidale, attenta e consapevole rispetto al prossimo“.

Le ceneri e il fuoco hanno bruciato tutto in almeno cinque comunità e le alte temperature hanno reso difficile il lavoro dei vigili del fuoco, che perdevano le scarpe ma continuavano a lavorare. Ma anche in questo si è vista la risposta delle aziende, che arrivavano con stivali nuovi in modo che le squadre di soccorso potessero continuare a lavorare per salvare le persone. Gli aiuti sono arrivati nei modi più inaspettati: parrucchieri che si organizzavano per tagliare i capelli di coloro che erano rimasti nei rifugi; dentisti, medici, psicologi e avvocati che venivano e offrivano i loro servizi gratuitamente a chi aveva perso tutto.

Foto di Alberto Cadorna

Alberto Cardona è un giornalista da più di 15 anni e racconta come è stata l’esperienza più agrodolce della sua carriera. Per 16 giorni consecutivi è rimasto nella zona del disastro: “Quando siamo arrivati, ​​il ​​primo giorno, abbiamo trovato tutto distrutto. È la situazione più dura che mi sia toccato raccontare, e l’impressione più forte è stata che non appena siamo arrivati, i volontari ci hanno offerto da mangiare. La popolazione si è lanciata ad aiutare senza aspettarsi nulla dal governo. Ristoranti che avevano offerte del tipo ‘compra uno e portane via tre’ per le vittime. Era impressionante”.

Foto di Carlos González. Gli aiuti dei guatemaltechi migranti negli Stati Uniti

Anche le comunità dei paesi vicini come Messico, El Salvador e Honduras hanno raccolto aiuti in grandi quantità, che poi hanno fatto arrivare in Guatemala. Migranti guatemaltechi che vivono negli Stati Uniti hanno inviato denaro, cibo, vestiti e altri generi di prima necessità. Alcuni si sono persino organizzati per cercare il modo di dare una nuova casa alle famiglie colpite. 35 sindaci del Guatemala hanno deciso di donare il loro stipendio per costruire nuove case.

“Noi guatemaltechi uniti siamo più forti di un vulcano” – questa frase è stata la fonte d’ispirazione per tanti che continuano a portare aiuti umanitari: è l’acqua che spegne il fuoco.


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