United World Project

Workshop

Filippine: Social Media per la pace

 
5 Marzo 2015   |   , ,
 

Adesso, però, si è tutto bloccato. E ieri è comparso sulla rete il video di un poliziotto ferito e poi colpito ripetutamente a morte da un militante del Fronte. È da immaginare l’indignazione della gente!». Così ci scrivono Carlo e Ding da Manila.

Oscar, invece, lavora presso l’Ufficio Comunicazioni del Governo che doveva quindi scrivere sull’accaduto. Un compito non certo facile per uno come lui che s’impegna ogni giorno a vivere la spiritualità dell’unità con tutti. «Per il mio lavoro – scrive – devo guardare quanto succede nei Social Media. Questa mattina ho visto il video dei nostri uomini SAF (poliziotti) uccisi dai ribelli musulmani. Mi ha molto colpito vedere un poliziotto a terra, ferito ma ancora vivo, colpito due volte alla testa e un altro sventrato con un falcetto nel petto… Era pesante, quasi surreale, non riuscivo a respirare. Nel video si vede anche che i ribelli raccolgono le armi e gli effetti personali dei poliziotti uccisi e poi continuano a sparare. Era così difficile pensare alla pace mentre guardavo quelle immagini. Volevo reagire, fare qualcosa. Ero quasi in lacrime.
Poi, guardavo le sessioni del Parlamento sulla vicenda. Chi cercava di gettare la colpa su un generale per imprecisioni, chi accusava un altro per mancanza di coordinamento. Ancora una volta, pensavo, come si può parlare di pace?

Il video su internet è stato già visto da almeno 4 milioni di persone. Parte del mio lavoro è quello di capire i possibili scenari e come venirne fuori. Allora mi sono chiesto quale potrebbe essere lo scenario peggiore. E ho avuto paura. Ho immaginato che, dopo aver guardato quelle immagini, tanti potrebbero provare rabbia e cercare vendetta. Potrebbero vedere ogni musulmano come un possibile aggressore e scagliarsi contro. “E se si scatena una rivolta civile?”, mi sono chiesto.

In ufficio, come previsto, le emozioni dei colleghi erano altissime. Ho cercato di ascoltare quello che Dio diceva al mio cuore: “Ora più che mai dobbiamo parlare di pace. Se noi che comprendiamo meglio la situazione proviamo questi sentimenti di vendetta, come reagiranno quelli più emotivi e meno informati?”.

Un mio collega all’improvviso ha detto: “La pace è una parola impronunciabile in questo momento. Dobbiamo puntare sull’unità di tutti i filippini, al di là del credo religioso”. E un altro: “Quanto è avvenuto è stato un atto di uomini violenti, che non s’identificano con tutta la comunità musulmana”. La rabbia si è sciolta lentamente. Abbiamo anche ricordato ciò che un deputato di Mindanao aveva detto: “È facile arrabbiarsi ed essere influenzati dalle nostre emozioni, perché non avete visto l’effetto della guerra con i vostri occhi sulla vostra porta di casa. La guerra non è la risposta”. Sono rimasto felicemente sorpreso ed ho lasciato l’incontro con una certa pace in cuore.

In questi tempi, più di ogni altra cosa, penso che dobbiamo lavorare insieme per portare l’ideale dell’unità a più persone possibile. La minaccia di guerra è reale. La minaccia dei nostri connazionali di essere arrabbiati con i nostri fratelli musulmani è reale. Ma il Vangelo ci indica la via del dialogo e della pace. Domani è un nuovo giorno per me. Un altro giorno di ascolto di tante conversazioni online. Avrò la possibilità di costruire dei rapporti di fiducia e di pace».

Fonte: focolare.org


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