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Siria: Nel cuore della tragedia, una gioventù attaccata alla vita

 
7 Aprile 2023   |   Siria, Terremoto Siria e Turchia, Y4UW
 
© Domingos Dirceu Franco
Di Youmna Bouzamel

Il terremoto del 6 febbraio ha inferto un duro colpo alla gioventù siriana, in un paese già indebolito da dodici anni di guerra e di crisi economiche. Nonostante la paura, i danni e le condizioni difficili, alcuni giovani siriani testimoniano il loro attaccamento alla vita.

Il 6 febbraio, la Turchia e il nord della Siria sono scossi da un violento terremoto. Il bilancio è devastante. È un disastro di troppo per il popolo siriano, già sofferente a causa di dodici anni di guerra e di difficoltà socio-economiche. «Le sanzioni (americane) rendono le condizioni di vita insopportabili. Tutto è incredibilmente caro, la maggior parte della gente muore di fame e non ha niente da mangiare, i servizi, come l’elettricità, sono quasi inesistenti, i mezzi pubblici non ci sono, gli affitti sono costosi, i combustibili non sono reperibili, quindi è difficile riuscire a riscaldarsi», scrive Christine, una giovane di Damasco.

In diverse regioni colpite del nord della Siria, la popolazione è abbandonata a sé stessa. La mancanza di elettricità e le infrastrutture già indebolite da anni di conflitti rendono i soccorsi ancora più difficili. «Le squadre di soccorso siriane hanno estratto le vittime sepolte sotto le macerie al buio o alla luce delle lampadine tascabili, nonostante il freddo e la pioggia», aggiunge Christine. «Purtroppo i soccorsi e gli aiuti internazionali hanno tardato ad arrivare perché i paesi avevano paura delle sanzioni americane contro la Siria. Molte persone morte sotto le macerie avrebbero potuto essere salvate».

Uno slancio di solidarietà in tutta la Siria

All’indomani del disastro, le province siriane solidarizzano con le regioni colpite: gli abitanti aprono le porte delle proprie case, le chiese e gli hotel ospitano vittime per settimane, dei volontari raccolgono e distribuiscono aiuti alimentari e materiali… «Tutti donavano qualcosa, anche chi non aveva molto» racconta Christine.

A Lattaquié, vicino al confine turco, i danni sono notevoli, e gli abitanti le cui case sono ancora in piedi hanno paura di ritornarvi. Fadi, un giovane ingegnere, unisce le sue forze a quelle di un ingegnere esperto, per ispezionare le strutture e rassicurare gli abitanti, o avvertirli della necessità di evacuare.

«Con i Giovani per un mondo unito di Lattaquié e Baniyas, ci siamo fatti avanti come volontari nelle chiese. Abbiamo, soprattutto, fatto in modo che gli aiuti non si accumulassero in un posto solo, ma che fossero distribuiti ad altre regioni in difficoltà» testimonia Joseph, un giovane di Baniyas. «Le persone prendevano solo ciò di cui avevano davvero bisogno e lasciavano il resto agli altri» racconta Christine.

Tra smarrimento e speranza

Il tempo passa, ma il ricordo del terremoto e delle scosse di assestamento è ancora vivido. Lascia spazio alla paura, ai dubbi, ai sensi di colpa, ma anche alla speranza di una vita vissuta per il bene, al servizio degli altri.

«Alla prima scossa, ci siamo riuniti al riparo e, non sapendo cosa fare, ci siamo messi a pregare» racconta Carine di Aleppo. «Dopo aver atteso due ore sotto una pioggia torrenziale e nel buio della notte, siamo tornati a casa per prendere alcune cose. Io ho preso solo un rosario, era l’unico modo per sentire una certa pace interiore» ricorda Noushig, anche lei di Aleppo.

«Pensavo fosse l’ultimo giorno della mia vita, tanto che ho cominciato a contattare i miei amici per scusarmi di tutto ciò che avevo causato loro senza volerlo» rammenta Olivia di Baniyas.

«In un momento di panico, quando la porta del nostro palazzo era bloccata, ho gridato: “Perché non possiamo più tornare a casa? Perché non possiamo più vivere lì? Perché questa ingiustizia?” Poi mi sono reso conto che altri erano stati colpiti più duramente e che molti erano dispersi. Allora mi sono sentito grato per il dono della vita» testimonia Lilian di Aleppo.

«In quell’istante ho sentito la grandezza di Dio, ho sentito che niente è impossibile a Lui, e che la tristezza o la rabbia che proviamo verso gli altri non hanno importanza, che i problemi che pensiamo siano la fine del mondo non hanno importanza. Passare una giornata normale, in cui non succede niente di speciale, è una benedizione, mangiare è una benedizione, e la breve vita che abbiamo vissuto finora è una benedizione…» scrive Lara di Damasco.

«Il terremoto mi ha insegnato una cosa, come l’esperienza di Chiara Lubich durante la Seconda guerra mondiale: tutto può crollare, tranne Dio, solo Lui resta» scrive Nathalie da Aleppo. «Siamo giovani e pieni di energie. Alla nostra età dovremmo pensare al futuro, a una vita migliore, invece viviamo in condizioni difficili, ma continuiamo a vivere e a lottare, nonostante le crisi – continua –.  I ricordi dei primi istanti del terremoto rimangono, ma la vita continua, e noi proviamo a spendere le nostre energie in iniziative che allevino la sofferenza degli altri e allo stesso tempo la nostra».

Le ONG Azione per un Mondo Unito (AMU) e Azione Famiglie Nuove (AFN) continuano a portare sollievo alla popolazione in Turchia e in Siria.

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