
Watch
Guerra e morte, natura e vita: la fotografia del grande Sebastião Salgado

Un ritratto da Sebastião Salgado, il grande fotografo brasiliano, da poco scomparso, a partire da meraviglioso documentario. Il sale della Terra. Un viaggio nelle ferite e nella capacità di rinascere di questo traordinario reporter, con l’aiuto della natura e di sua moglie Lélia.
La guerra distrugge l’animo umano. Colpisce il cuore fino ad annientarlo. Gli anni Novanta furono quelli delle guerre in Rwanda e nei Balcani. Tanto spargimento di sangue, tanta violenza, furono raccontati per immagini da un fotografo immenso: il brasiliano Sebastião Salgado, morto il 23 maggio 2025.
Il contatto diretto, approfondito, con quella sofferenza e quell’orrore, lo portarono ad annullarsi: “La mia anima si era ammalata”, racconta nel bellissimo documentario che il regista Wim Wenders, con Juliano Ribeiro Salgado, gli hanno dedicato: Il sale della Terra, tornato in sala, in Italia, distribuito da Officine UBU, dopo la scomparsa del fotoreporter.

Sebastião Salgado e l’orrore tra Africa ed Europa
In africa, Sebastião Salgado si era recato per il progetto fotografico Exodus dedicato ai profughi, ma sulla strada per arrivare a Kigali si trovò immerso in “150 km di morte”. Ricorda ancora nel documentario: “Quando sono andato via non credevo più a niente. Non poteva esserci salvezza per la specie umana. Non si poteva sopravvivere a una cosa simile”.
In quella tragedia, aveva smarrito sè stesso. L’efferatezza, la brutalità, in Africa come nel cuore dell’Europa, erano generalizzate. “La cosa che mi provocava più disgusto era vedere fino a che punto l’odio era contagioso”. Non aveva più forze. “Quante volte ho riposto la macchina fotografica per piangere”, ed è la voce narrante di Wim Wenders a focalizzare meglio l’accaduto: “Sebastião era sceso nel cuore delle tenebre e si interrogava sul suo ruolo di fotografo e di testimone della condizione umana”.
Aiutato dalla moglie e dalla natura
Eppure, Sebastião Salgado è riuscito a guarire. Lo ha fatto con due esperienze legate entrambe alla natura, e attraverso una donna straordinaria: sua moglie Lélia. Tornato a casa, in Brasile, lei gli propose di piantare tanti nuovi alberi nella fattoria di famiglia, ormai divorata dalla desertificazione. Lo fece per provare a restituire al marito, anche solo parzialmente, lo splendore di quando era bambino.
“L’idea era suggerita dall’impulso di risollevare il morale familiare”, sottolinea ancora Wenders, ma accadde molto di più: “Nei dieci anni seguenti un vero miracolo avvenne in quelle terre, che da allora presero il nome di ´Istituto Terra´”.
Col tempo, la foresta rinacque. La vita riprese in ogni sua forma. Tra il verde delle piante tornò a scorrere l’acqua. Il cuore del fotografo si riaccese, ma prese una direzione professionalmente diversa. Ancora Wenders: “Sapevano, lui e la moglie, che non avrebbero potuto rifare quello che avevano fatto prima”.

La strada della bellezza: Genesis
La strada sarebbe stata un’altra. Opposta. Non più quella della morte che distrugge, che uccide corpi e anime, ma quella della natura che salva: “Abbiamo concluso che potevo realizzare un nuovo progetto fotografico legato all’ambiente», ricorda, e in una prima fase, pensarono alla “denuncia”. Poi “a un progetto diverso”: rendere un omaggio al pianeta fotografando la sua bellezza salvifica. Salgado si mise in viaggio per le Galapagos, ovvero la natura in tutto il suo splendore.
Il progetto si sarebbe chiamato Genesis: un’immersione decisamente più ottimistica e rigenerante nello stesso pianeta che Salgado aveva osservato distrutto dall’uomo, anni prima. “Genesis doveva essere una lettera d’amore al pianeta”, spiega in un altro frammento di Il sale della Terra. “Da lì ho capito che sono parte della natura come una tartaruga, un albero, un sassolino”.

Amazônia, il nuovo viaggio di Sebastião Salgado
Sulla scia di questa rivitalizzante esperienza, anni dopo sarebbe nata la mostra fotografica Amazônia, con più di 200 opere. Per sei anni Sebastião Salgado ha fotografato la foresta amazzonica in Brasile. Non solo i suoi fiumi, le sue chiome, le sue montagne, ma anche le persone che la abitano.
Alle immagini straordinarie, potenti, si mescolano nella mostra i suoni naturali di quella terra fitta di vegetazione avvolgente. Si ascoltano il rumore delicato degli alberi, le voci degli animali, il canto delle acque che volano a valle dai monti. È una colonna sonora di meravigliosa immersività, creata da Jean-Michel Jarre, che afferra tutto l’incanto della natura, la purezza della casa comune, fissata in questo viaggio fotografico di Salgado.
Una bellezza fragile custodita dalle comunità indigene amazzoniche, capaci di vivere con lei, la madre Terra, in sintonia e parità. Un esempio per altre culture ed altri popoli. Un esempio che Salgado, prima di lasciarci, ha raccontato con la sua fotografia ineguagliabile. Col suo potere comunicativo per cui non smetteremo mai di dirgli grazie.



