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Quando la TV tiene a cuore il pianeta – Intervista a Olivella Foresta

 
30 Maggio 2025   |   Italy, Media,
 
Olivella Foresta con Bruno Cavallari, fonico - Foto di O. Foresta
Olivella Foresta con Bruno Cavallari, fonico – Foto di O. Foresta

Documentarista di mestiere, porta in TV un’ecologia realistica, vicina e piena di speranza

Olivella Foresta è un’esperta documentarista. Ha collaborato con giganti come Piero Angela (Superquark) e, attraverso un tirocinio, con David Attemborough. Ma anche con Vandana Shiva, attivista e ambientalista indiana, in lotta per cambiare le pratiche nell’agricoltura e nell’alimentazione, soprattutto contro la monocoltura.

Il lavoro di Olivella Foresta è cominciato in Inghilterra, dove per anni ha lavorato in TV, ma soprattutto, la sua lunga esperienza si lega a un ormai storico programma Rai (in Italai) dedicato all’ambiente: Geo. Qui ha realizzato molti documentari e la sua testimonianza ci aiuta a capire come i media, in particolare la TV, possano parlare in modo costruttivo di ecologia. Per questo l’abbiamo incontrata e siamo partiti da un suo lavoro recente, paradigmatico, di cui ha curato la scrittura, il montaggio e la regia con Diego D’Innocenzo. Si intitola Il lago delle meraviglie ed è stato girato sul lago Chilika, sul golfo del Bengala, in India.

Olivella, di cosa si tratta?

Si sente spesso dire che l’India produce inquinamento, ma ci sono sensibilità locali come ovunque. Questo progetto è in piedi, da anni, grazie allo Stato di Odessa, in una zona povera meta di uccelli migratori. Qui l’attività principale è la pesca, ma nella stagione monsonica è difficile portarla avanti. Quindi si è sviluppata la caccia agli uccelli migratori. L’idea è stata di interrompere quest’attività illegale impiegando le persone come custodi del patrimonio: pescatori quando possibile, guardiaparco in altri momenti. Non si poteva realizzare una riserva totale, si dovevano lasciare periodi per una pesca intelligente. In questo parco, ora, giungono visitatori da tutta l’India e dall’estero. Quando arrivano gli uccelli migratori, poi, arrivano anche gli scienziati.

Lago Turkana, Kenya - Foto di O. Foresta
Lago Turkana, Kenya – Foto di O. Foresta

Una storia positiva

Sull’impegno ecologico non a parole ma nelle azioni. I progetti ecologici funzionano quando sono armonizzati con altre esigenze umane, quando si lega la sensibilità per l’ambiente ai bisogni della gente. Non si può dire alle persone di non mangiare più. È il green sostenibile che diventa circolo virtuoso senza la demonizzazione delle esigenze umane.

Questa tipologia di lavoro appartiene anche a Geo?

Questi elementi sono fondamentali nella linea editoriale di Geo, che alla teoria preferisce la pratica e non ama la predica, l’estremo o l’utopistico. Cerca di raccontare come il rapporto con l’ambiente possa migliorare con esempi positivi ma sostenibili, coi quali gli spettatori possano identificarsi per agire concretamente. Affrontiamo l’oggi sostenibile, per creare sensibilità verso l’ambiente. Geo è attento al mantenimento delle radici nel passaggio generazionale, al ritorno dei giovani nella terra di nonni, al recupero del territorio. Più che sulla velocità e la radicalità del cambiamento, ragioniamo sull’equilibrio tra ottimizzazione e rispetto.

Puoi fare qualche esempio?

Stiamo montando dei documentari girati in Val Maira: una valle sopra Cuneo, in cui le persone hanno scelto un programma di rispetto, senza strutture turistiche invadenti. Si è adottata la lentezza e sono tornati i giovani, rimettendo in piedi il lavoro dei genitori e dei nonni. Con le tecnologie e la preparazione moderne.

Possiamo dire che il pubblico di Geo rispecchi la società?

Geo parla al ragazzino e all’adulto. Attraversiamo una fascia oraria particolare coi nonni che guardano i nipotini e quindi il messaggio deve essere veicolato con semplicità, attenzione e delicatezza, perché ci sono i minori e perché spesso gli anziani hanno il territorio nel loro bagaglio culturale e nel cuore. Possono averlo lavorato direttamente, posseggono la conoscenza maturata col contatto. A loro non puoi parlare di assenza umana ma di armonia tra uomo e natura.

E poi ai giovani

Geo parla anche alle nuove generazioni, spesso preparatissime: ai nuovi esperti dell’ambiente, ai nuovi contadini. Agli insegnanti, presso i quali abbiamo un grande seguito e responsabilità, perché a loro volta devono veicolare il messaggio. Da noi possono prendere spunto per progetti scolastici. Infine, c’è il pubblico generalista che nel nostro caso cerca un rapporto positivo con l’ambiente.

In Giordania - Foto di O. Foresta
In Giordania – Foto di O. Foresta

Su cosa puntate in particolare?

Sulle storie. Quando mi sono occupata di acquisti, mi arrivavano, specialmente dall’estero, documentari generici sul tema dell’acqua o del Pianeta. Noi non andiamo su questi grandi argomenti teorici. Il grande tema c’è, ma passa per la storia di una persona o di un gruppo di persone. Quando un contadino coltiva in una zona dove non c’è molta acqua, sa farlo senza sprecarla, altrimenti non l’avrebbe per coltivare o far bere gli animali. In questo modo si racconta bene la necessità di rispettare l’ambiente. Poi, possiamo associare al documentario lo scienziato che in studio parla della situazione idrografica.

Possiamo definirla un’ecologia incarnata?

Direi di si e il merito è anche della conduttrice Sveva Sagramola, con la sua capacità straordinaria e insieme umile di raccontare l’ambiente. Con lei sono stata un mese in Africa, nel 2009, per nove documentari pieni di attenzione e rispetto per le persone raccontate. Siamo state con le popolazioni locali e nelle baraccopoli di Nairobi. Abbiamo conosciuto persone come John Mureri, giovane avvocato che ha dedicato la sua vita alla salvaguardia dei più umili. Anche questo è un modo di raccontare l’ambiente.

Rientra nel concetto di “Ecologia Integrale” di Papa Francesco.

Non dobbiamo mai sentirci superiori all’ambiente, ma integrati e questo cerchiamo di raccontare a Geo. Non andiamo sulla degenerazione del rapporto. Cerchiamo di rispettare le categorie senza demonizzarle né esaltarle.

Tra i tuoi primissimi documentari per Geo, c’è quello su Anna Giordano. Chi è?

Una donna incredibile che negli anni ‘90 ha lottato contro la caccia del falco pecchiaiolo sullo stretto di Messina. Lì c’era una tradizione per cui se ne uccidevi uno – lì lo chiamano Adorno – voleva dire che non eri cornuto. I cacciatori affittavano vecchi bunker della seconda guerra mondiale per ammazzarli. Erano solo trofei, nemmeno buoni da mangiare. Questa donna, con l’aiuto delle guardie Forestali, si è impegnata contro questa brutta tradizione, andando incontro a parecchi problemi. Le hanno anche bruciato la macchina. Il documentario si intitola La Signora dei falchi.

Parlare di ambiente significa denunciare quello che non va, ma anche offrire speranza per uscire dalla crisi ambientale. A Geo come vi ponete tra questi due poli?

La nostra linea editoriale è quella della speranza. Affrontiamo la denuncia indirettamente, ma senza rimuovere il problema. Lo approfondiamo nella parte in studio con gli ospiti. Cerchiamo di far capire come le cose possano funzionare con un documentario che è una finestra di speranza. Se parliamo dell’abbandono delle borgate, facciamo anche vedere la famiglia che sta ristrutturando una casa. Non tralasciamo l’aspetto negativo, ma come base sulla quale costruire. Nella nostra linea editoriale non ci sono figure politiche, perché spesso la politica tende a polarizzare, mentre a noi interessa raccontare ciò che funziona ed è utile. C’è una bellissima pista ciclabile? Non importa se l’ha fatta la destra o la sinistra. Noi guardiamo l’importanza di quella pista, per le famiglie e le persone. Se vogliamo chiamarla linea editoriale della speranza, beh, ce l’abbiamo forte.

La ferita è il punto di partenza. Possiamo dire questo di Geo?

Non andiamo a raccontare la terra dei fuochi in Campania, ma la difficoltà di agricoltori che puntano sul biologico e affrontano il problema dei fumi insalubri. Per esempio, per un documentario realizzato a Salina, Il profumo di casa, parlando della manodopera nella coltivazione dei capperi, faticosa e saltuaria, si è toccato il tema del lavoro a basso costo per gli immigrati.

Non fate inchieste vere e proprie…

Non in stile Report. Descriviamo le criticità in modo costruttivo, specialmente nei documentari, anche collaborando con realtà virtuose. Per esempio Legambiente. Siamo sempre attenti alla realtà. Non costruiamo mai la favola. Amiamo parlare di culture biologiche, del problema dello spreco.

Qualche altro esempio?

Un documentario sulla discussa presenza dei lupi, reintrodotti col progetto San Francesco negli anni ‘70. Ce ne sono tanti, e che si fa? Si rinuncia a un progetto positivo? Conviene avere pazienza e cercare strumenti per una sana convivenza. Il documentario racconta l’invenzione dei collari che segnalano la presenza dei lupi al pastore e al contadino. Cerchiamo di offrire suggerimenti per la sana convivenza tra le diverse realtà del Pianeta, se vogliamo che questo mantenga la sua varietà.

In Malesia - Foto di O. Foresta
In Malesia – Foto di O. Foresta

Possiamo dire che col vostro lavoro aiutate il pubblico a prendere coscienza che l’essere umano, senza il suo Pianeta in salute, non può vivere?

Questa è la mission di Geo: ribadire che siamo parte di un meccanismo. Non possiamo fare quello che ci pare perché il Pianeta è interconnesso e dobbiamo prenderci le nostre responsabilità. Il problema dei cinghiali nelle strade si lega alla gestione dei rifiuti urbani, ai cassonetti stracolmi lasciati aperti. Geo sa che il cinghiale è anche una minaccia per il contadino, ma ragiona sull’equilibrio che porta all’armonia tra uomo e animale. Tra economia e natura. Senza armonia rischiamo roviniamo il pianeta.

Torniamo all’ecologia integrale e a Papa Francesco

Lui è stato un alleato profondo, la voce più forte e autorevole anche rispetto alla guerra che distrugge l’ambiente. I danni ecologici dopo una guerra sono terribili. Si parla poco di questo aspetto delle guerre.

Cosa si prova dopo tanti anni di lavoro, vedendo che tanti problemi sono ancora lì?

Non è semplice rispondere. Se ti affacci alla finestra fatichi a dire che le cose sono migliorate, ma la nostra trasmissione incontra tantissima gente motivata e determinata. Questo mi porta a dire che la sensibilità è migliorata. A Geo si respira vicinanza con le persone che ce la mettono tutta. Il nostro compito è raccontarle. Ci sono momenti di scoramento, davanti a un fiume in condizioni pessime, ma si ritrova la forza incontrando quelli che lo ripuliscono. Hanno capito che il fiume è casa, non il posto dove buttare rifiuti.

Sensazioni ambivalenti

Diciamo che la base è migliore di chi ci guida, purtroppo: ancora ancorata al meccanismo del voto. Però ci sono tanti giovani in gamba che alimentano la speranza.

Il ruolo dei media?

Credo che oggi, anche grazie ai media, ci sia una nuova sensibilità, ma ritorno a chi ci guida e alle grandi multinazionali, alla monocultura che distrugge. Coltivare una sola cosa in un Paese è molto rischioso. Lo dice anche Carlo Petrini che collabora con Vandana Shiva. A Geo parliamo dell’importanza delle colture differenziate, dell’avvicendarsi di colture. Ancora una volta non facciamo la denuncia diretta, ma lasciamo intendere chiaramente che il dio profitto non porta alla salvaguardia dell’ambiente.

Quanto è importante la formazione per i giovani, e quanto la buona Tv può dare il suo contributo?

La formazione è molto importante, soprattutto il lavoro approfondito con le scuole. Credo anche che dopo tre ore di Geo, si abbia la sensazione che qualcosa si può fare. È una trasmissione che incoraggia: da Geo si esce meglio di come si entra.

Penso che col vostro lavoro intercettiate un bisogno insito nelle persone, magari offuscato dalla corrente della nostra società, ma resistente.

Ricostruire l’armonia con l’ambiente intercetta un nostro bisogno intimo profondo, che è anche un desiderio di pace.


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