Pace e diritti umani

L’Arsenale della Pace, da fabbrica d’armi a rifugio: “Una casa che accoglie i più fragili”

by Edoardo Zaccagnini

L’Arsenale della Pace, da fabbrica d’armi a rifugio: “Una casa che accoglie i più fragili”
Arsenale della Pace

Un antico arsenale militare trasformato in monastero urbano. Rosanna Tabasso spiega come il Sermig accoglie giovani, madri e profughi, convertendo un luogo di morte in un cantiere vivo di fraternità, preghiera e giustizia sociale nel cuore d’Italia.

L’Arsenale della Pace è un ossimoro straordinario: uno spazio pieno di speranza e meravigliosamente disarmante già con la forza del suo nome. Vi si produce pace, dialogo, e sostegno ai più fragili, dove prima si alimentava la guerra.

L’arsenale della Pace si trova a Torino, situato nel nord Italia, dove prima c’era un’antica fabbrica di armi in disuso, ed esiste dal 1983, grazie al lavoro gratuito di tante persone, soprattutto di giovani, che giorno dopo giorno lo hanno trasformato in un trionfo di umanità. In questo monastero urbano che accoglie senza sosta, opera il Sermig (Servizio Missionario Giovani): un movimento fondato nel 1964 da Ernesto Olivero e da sua moglie Maria.

Per raccontare la preziosa e incoraggiante storia del Sermig e dell’Arsenale della Pace, abbiamo incontrato Rosanna Tabasso: presidente del Sermig, con la quale siamo partiti dall’inizio.

Rosanna Tabasso - Arsenale della Pace
Rosanna Tabasso – Arsenale della Pace

Com’è nata la storia dell’Arsenale della Pace?

Era un sogno che sembrava più grande di noi. All’inizio eravamo un piccolo gruppo di giovani che voleva vivere il Vangelo senza scuse, senza rimandare. Avevamo capito che dire “amare i poveri” non bastava: bisognava farlo. Ci aveva spinto soprattutto la profezia di Isaia: l’annuncio di un tempo in cui le armi non sarebbero state più costruite. L’ex arsenale militare di Torino ai nostri occhi diventò lo spazio in cui cominciare a realizzare quel sogno. Quando entrammo qui per la prima volta, il 2 agosto 1983, non c’era nulla: era un rudere. Non ci siamo spaventati, ci abbiamo creduto e tantissima gente ci ha aiutato, restituendo tempo, risorse, professionalità. L’Arsenale della Pace è nato così.

Com’è la vita quotidiana in un luogo così?

C’è una bellezza che nasce dall’intreccio paziente di persone. Ogni giorno entra qualcuno con un bisogno diverso: chi cerca un pasto, chi l’ascolto, chi un orientamento, chi un rifugio. E poi ci sono i giovani che arrivano con mille domande, con la voglia di capire come si costruisce una vita che valga la pena vivere. L’Arsenale è un laboratorio: ci sporchiamo le mani, ascoltiamo, preghiamo, accogliamo. Niente è scontato. Ogni storia ti cambia. La fraternità non è poesia: è scegliere, ogni giorno, di non tirarsi indietro.

Padre Michele Pellegrino, a cui è dedicato l’Arsenale della Pace, chi è stato per voi?

La presenza sicura di un padre che anzitutto ci ha voluto bene. Ha riconosciuto il nostro carisma prima ancora che noi capissimo chi eravamo. Era un adulto credibile che sapeva dare fiducia ai giovani e non aveva bisogno di parlare troppo per farti capire dove guardare. Ci ha sempre accompagnato, non lo dimenticheremo mai.

Come nasce il dialogo tra culture e religioni dentro l’Arsenale della Pace?

Dal fatto che prima di tutto vedi la persona, poi tutto il resto. La chiave è mettersi sempre nei panni degli altri e capire che il primo terreno di incontro è l’umanità, con gioie e dolori, con slanci e fatiche. L’accoglienza reciproca scioglie le diffidenze. Poi vengono gli incontri, le conferenze, il confronto… ma prima c’è una condivisione vera, da persona a persona.

Arsenale della speranza - Brasile
Arsenale della speranza – Brasile

E i giovani? Quanto vi chiedono, quanto vi raccontano?

I giovani ti guardano dritto. Se non sei autentico se ne accorgono in un attimo. Le loro ferite sono profonde: solitudine, smarrimento, paura di non valere. Ma c’è anche una fame incredibile di senso, di Dio. Quando li coinvolgi davvero — non da spettatori, ma da protagonisti — li vedi cambiare. E quando cambiano loro, cambia tutto il resto. Loro hanno la capacità di prendere il buono del passato per renderlo presente e futuro.

Come sostenete gli ultimi: madri sole, detenuti, persone fragili?

L’Arsenale della Pace è una casa che accoglie i più fragili. Accogliamo, senza pietismo, ma con un metodo e anche una certa severità. È la logica dell’amore. Chi vuole cambiare deve anche volerlo, deve sceglierlo, nessuno può sostituirsi alla libertà di una persona. Noi possiamo essere rifugio, sostegno, relazione. Il resto spetta anche a chi è accolto. Altrimenti l’aiuto sarebbe solo assistenzialismo.

Da una frase presente nel vostro sito, leggo: “Un sogno che permette a chi lo desidera di restituire qualcosa di sé”. Cosa significa davvero?

Significa che questo posto vive perché la gente ci aiuta. Se smettesse di farlo, chiuderemmo in tre giorni. Qui ognuno può restituire un pezzo di sé: tempo, capacità, preghiera, professionalità, fatica. Questa avventura è cresciuta solo così. Restituire è anche un profondo atto di giustizia verso chi non ha niente.

Arsenale della Speranza - Brasile
Arsenale della Speranza – Brasile

Cos’è il Sermig oggi?

Vorremo che fosse una famiglia per chi bussa alle nostre porte, ma anche per noi che abbiamo dato la vita. La nostra, oggi, è una fraternità che accoglie ogni stato di vita: famiglie, persone singole, sacerdoti, consacrati e consacrate. Tutti con la stessa responsabilità.

Parliamo di Ernesto Olivero…

Ernesto è il fondatore del Sermig e fino a pochi anni fa ne è stato l’animatore. Un uomo semplice ma determinato. Un uomo che si è lasciato plasmare da Dio, ha creduto che la sua Parola si realizza e si è messo in gioco senza se e senza ma. Insieme a sua moglie Maria, ha avuto il coraggio di allargare il perimetro della sua famiglia. E ci ha insegnato anche a vedere la sproporzione come vero campo di Dio. A noi spetta essere disponibili: se abbiamo fede, il resto lo fa proprio Lui.

I vari “Arsenali”: Pace, Armonia, Incontro, Speranza, sparsi in diversi posti del mondo. Come si tengono insieme?

Sono sfumature dello stesso desiderio. La pace è il nucleo. L’armonia, l’incontro e la speranza ne sono i frutti. Ogni arsenale è un modo diverso di incarnare lo stesso sogno: curare ciò che divide e costruire ciò che unisce. Che sia l’accoglienza dei giovani, degli uomini di strada, dei bambini disabili. Il Sermig è come un condominio a più piani. Ogni stanza un servizio. Ci si può spostare, essere in Paesi diversi, ma lo spirito resta lo stesso.

Allora eravamo ragazzi… volevamo essere il presente”. Oggi, quali sono le vostre sfide?

Restare nel presente. Non rifugiarci nei ricordi. Oggi il mondo è più disorientato, più fragile. Le sfide sono la solitudine, la paura del futuro, le fratture sociali, le guerre vicine e lontane, la sfiducia che corrode. La risposta non può essere nostalgica. Deve essere creativa, disciplinata, coraggiosa. L’Arsenale non può limitarsi a sopravvivere: deve continuare a essere un cantiere vivo, aperto, in movimento.