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Quale Europa nel mondo globale e plurale?

Il 9 Maggio si celebra la festa dell’Europa. È una data scelta non a caso, perché ricorda il giorno in cui, nel 1950, con la Dichiarazione Schuman, ha preso avvio il processo di integrazione europea. A poco più di due settimane dal voto per il rinnovo del Parlamento Europeo, abbiamo chiesto al professor Paolo Frizzi, Coordinatore accademico del Centro Sophia Global Studies qualcosa di più sulla situazione dell’Europa oggi.

 

Prof. Frizzi, dove si trova oggi l’Europa?

«L’Europa è a un crocevia, che condivide con il mondo. Basti pensare ad alcune delle trasformazioni del sistema mondo: dalla resilienza dei conflitti armati alle conseguenze della quarta rivoluzione industriale, dalle crepe del sistema finanziario al mutare del fenomeno migratorio, dall’insicurezza digitale alla crisi ambientale. Le trasformazioni mondiali oggi interessano direttamente i popoli europei».

Si tratta di un quadro non proprio incoraggiante…

«È certamente critico. I nuovi equilibri stanno indebolendo le basi istituzionali della convivenza pacifica tra nazioni e popoli. A pagare lo scotto del cambiamento sono, ad esempio, proprio i processi di integrazione quali l’Unione Europea».

Cosa vuol dire questo per il processo di integrazione europea?

«L’Europa si trova a suo malgrado al centro di tali processi. Percepiamo la crisi come una degenerazione interna dell’Unione Europea, ma in realtà è proprio il mondo con le sue nuove dinamiche a dettare il ritmo della crisi politica e istituzionale delle nostre nazioni. In altre parole: l’empasse del processo di integrazione in Europa è un effetto anche del riassetto dell’ordine extra-europeo».

Forse la parola è impropria, ma è solo “colpa” degli altri, o l’Europa, in questo stallo, ha delle responsabilità?

«Lo abbiamo visto quanto inefficaci siano state le risposte delle nazioni europee alle sfide aperte dai nuovi scenari mondiali: a cominciare dalla reazione disordinata alla crisi economico-finanziaria iniziata nel 2007/2008, fino all’incapacità di gestire il caso Brexit e alla mancata presa di posizione “efficacemente europea” rispetto alle migrazioni. Noi europei, invece di cucire una coesione interna forte e solidale di fronte ai nuovi scenari globali, abbiamo preferito lasciare un vuoto di visione comune in cui hanno trovato ampio spazio di manovra le rinnovate aspirazioni sovraniste. Non ci dobbiamo stupire se siamo arrivati a mettere in discussione la sostenibilità del progetto di integrazione».

Quindi cosa è necessario fare in questa situazione?

«In questa stagione critica bisogna individuare dei punti di riferimento comuni, in modo da non smarrire l’occasione epocale che ci è stata offerta dall’integrazione europea. Per fare questo è necessario puntare a processi di riconciliazione impegnativi e per nulla scontati, per sanare le fratture e ricomporre l’unità, in cui governi, istituzioni e popoli europei devono poter tornare a credere nella coralità di intenti e nella visione unitaria ai diversi livelli istituzionali e di società civile».

Da dove partire?

«Una sana autocritica è doverosa, ma non basta: bisogna riconoscere che le stesse fatiche dell’integrazione sono esse stesse un patrimonio per l’Europa e per il mondo, perché ci dicono la difficoltà e la serietà del processo. Abbiamo alle spalle decenni di successi, che hanno prodotto buone pratiche che hanno dato forma a mercati comuni, a movimenti di persone, a politiche pubbliche comunitarie, a meccanismi e procedure di condivisione della sovranità e della rappresentanza. Tutto ciò non può andare disperso. Persino la sfida di Brexit, per quanto dolorosa, non è la fine della relazione tra Regno Unito ed Europa, ma l’inizio di un nuovo rapporto e di una nuova stagione».

Nella prospettiva della Fraternità, cosa rappresenta, dunque, l’Europa?

«Le difficoltà ci stanno insegnando che le differenze da un lato rallentano l’integrazione, dall’altro rimandano a una pluralità interna che va tutelata. Sono ancora così attuali le parole di Papa Francesco, pronunciate nel 2016 in occasione della ricezione del premio Carlo Magno: gli europei devono ricordarsi che l’identità europea è sempre stata dinamica e multiculturale. Cosa rappresenta l’Europa? Tre possibilità: integrare, dialogare e generare. Ovvero tre compiti per il presente: credere nelle città come luoghi di convivenza; promuovere la cultura del dialogo dove aprire istanze per ricostruire il tessuto sociale, e infine coinvolgere tutti i livelli della società senza avere paura del futuro».


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