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Premio Nobel agli studiosi della povertà

 
29 Ottobre 2019   |   Mondo, Nobel, Fondazione Nobel
 
Di Tommaso Reggiani.

Il prestigioso premio del 2019 è andato a tre studiosi (Duflo, Kremer e Banerjee) accomunati dall’approccio sperimentale nella lotta alla povertà globale.

Lo avrete già letto e sentito da mille parti, il premio Nobel per l’economia di quest’anno, è un premio triplice: alla concretezza, alla competenza e al rigore.

Mentre le tradizionali e più mediatiche politiche di sviluppo, promosse dai governi e dalle grandi agenzie della cooperazione internazionale, si basavano sui massimi sistemi e su ciclopici investimenti infrastrutturali, a metà degli anni ’90, Abhijit Banerjee (MIT), Ester Duflo (MIT) e Michael Kremer (Harvard) inaugurarono un paziente lavoro sul campo – a tratti quasi artigianale –  volto a sperimentare interventi mirati e circoscritti capaci di esprimere un impatto tangibile, valutandone l’efficacia in modo sistematico e rigoroso. Ed è proprio il mix fra tipologia di interventi (micro e concreti) e loro valutazione (metodica e sistematica) che ha reso davvero speciale questo fronte di ricerca da loro aperto.

Michael Kremer ebbe la prima intuizione. Mosso dal desiderio di contribuire fattivamente all’incremento del livello di istruzione in Kenya (è assodato come l’istruzione sia il combustibile indispensabile per ogni forma di sviluppo, economico ed umano) volle capire, guardando ai dati, quale delle diverse possibili politiche adottabili fosse la più efficace. L’unico modo per fare questo con adeguato rigore, consisteva nel tradurre in un contesto sociale il protocollo di sperimentazione che convenzionalmente si adotta in ambito medico.

Individuò un gruppo ben definito di scuole il più possibile simili e comparabili fra loro (i nostri pazienti) e in modo casuale assegnò loro politiche differenti (le nostre terapie da testare): ad un gruppo fornì libri e materiale didattico addizionale in abbondanza, ad un secondo gruppo di scuole incentivi monetari per le famiglie che avessero mandato i bambini a scuola con regolare frequenza, ad un terzo gruppo furono forniti dei kit per vaccinazioni contro infezioni intestinali.

Dopo un lasso di tempo (il tempo che serve ai principi attivi per esprimere le loro proprietà) si valutano, dati alla mano, i valori medi registrati nei tre diversi gruppi: livello di apprendimento dei bambini (temperatura corporea), numero di assenze (pressione arteriosa), incidenza dell’abbandono scolastico (battito cardiaco) ecc…  Questa, in “pillole” (battuta!), è la dinamica metodologica dei randomized controlled trials celebrati da questo Nobel.

In linea di principio, tutte e tre le iniziative messe al vaglio in questo esperimento appaiono lodevoli, ma sul campo l’urgenza esortava a distinguere quelle veramente efficaci da quelle ”carine”.

Da questo esperimento si è imparato come il programma di vaccinazione – sebbene meno romantico – sia più efficace del regalo di meravigliosi libri e quaderni raccolti con tanto pathos nelle nostre feste pre-natalizie: quando sei perennemente malato e le assenze sono la regola, della Treccani in aula ci fai poco.

Discorso simile per gli incentivi monetari alle famiglie: se ti mandano a scuola malato a tutti i costi, sulla Treccani – quando va bene – ci dormi, e – quando va male – l’infezione si propaga a tutta la classe.

Ester Duflo e Abhijit Banerjee (quest’ultimo marito della brillantissima Duflo, non lei la moglie di…) hanno indirizzato i loro sforzi sulla scia di Kremer, conducendo esperimenti sul campo in India cercando di setacciare con rigore gli interventi più concreti ed efficaci per migliorare le condizioni sanitarie, l’educazione di donne e bambini nonché la promozione di attività imprenditoriali radicate direttamente sul territorio. Molti dei rimedi da loro testati, sono frutto di lunghi periodi di osservazione spesi imparando direttamente sul campo, un corpo-a-corpo con gli affanni e i problemi che i poveri affrontano quotidianamente.

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