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Lezioni dalla nazionale argentina

 
5 Aprile 2024   |   Argentina, Sport,
 
Foto de Alvaro Camacho_Pexels
Foto de Alvaro Camacho_Pexels
Di Santiago Durante (Ciudad Nueva – Argentina)

La nazionale Albiceleste ha conquistato il titolo di campione del mondo per la terza volta nella storia, con un allenatore alla sua prima esperienza e con Lionel Messi, che si è confermato non solo come leader assoluto, ma anche come punto di riferimento per le nuove generazioni.

Non ero d’accordo con la nomina di Lionel Scaloni a commissario tecnico dell’Argentina, quattro anni fa. Mi sembra importante iniziare queste righe con onestà verso me stesso e verso chi legge. Avendo seguito la nazionale da vicino per quasi dieci anni ed essendo stato testimone della qualità del lavoro di uomini come Marcelo Bielsa, José Pekerman, Hugo Tocalli e molti dei loro collaboratori, la scelta di un allenatore giovane e senza esperienza mi sembrava più un azzardo che un progetto a lungo termine.

Chiedo scusa per questa autoreferenzialità, ma è giusto partire da queste riflessioni, condivise all’epoca da molti argentini, quando ancora ci lamentavamo del fatto che il miglior giocatore al mondo non riuscisse a esprimere tutto il proprio potenziale in un Mondiale. Queste perplessità nei confronti della nuova guida della nazionale, forse, erano compensate dalla speranza sempre viva che il calcio, prima o poi, sarebbe stato giusto nei confronti di Lionel Messi.

Ed è stato proprio l’aspetto sereno e fiducioso del capitano, spesso fortemente criticato, a destare l’attenzione generale durante le qualificazioni, permettendo di mettere da parte i giudizi affrettati.

Il mio punto di vista ha continuato a cambiare ascoltando alcuni giovani colleghi, che nella sincerità delle pause pranzo quotidiane esprimevano il loro “affetto” per la Scaloneta (il soprannome adottato dalla squadra con riferimento al suo allenatore). I dubbi iniziali sulle capacità del commissario tecnico (che continuo a ritenere validi, perché nessuno lo conosceva) hanno piano piano lasciato il posto a un’altra domanda: perché no?

Il fervore e l’immedesimazione soprattutto delle nuove generazioni hanno messo in discussione una vecchia concezione di questo sport che suscita tanta passione in tutto il mondo. Io, che ero cresciuto tra vecchie dicotomie calcistiche – la più significativa delle quali, in Argentina, è quella tra la scuola di Menotti e quella di Bilardo, allenatori che hanno portato la nazionale a conquistare il titolo mondiale rispettivamente nel 1978 e nel 1986 – mi sono reso conto che i miei giovani interlocutori andavano oltre questi ragionamenti. Ognuno, naturalmente, aveva i propri gusti e le proprie preferenze, ma le loro argomentazioni superavano i vecchi modi di sentire, giocare e divertirsi con il calcio. Così, anche il classico “si è sempre fatto così” (in riferimento alle caratteristiche che storicamente dovevano avere gli allenatori della nazionale) ha perso significato in fretta.

Ancor prima di vincere l’inafferrabile Copa América nel 2021, l’atmosfera era già di conquista. Quella squadra composta dall’allenatore “alle prime armi” aveva già creato una simbiosi con il pubblico come non se ne vedevano dai tempi di Biesla, prima della frustrazione dei Mondiali del 2002. E, via via che la Scaloneta si faceva strada nella competizione in Qatar, l’hashtag #ElijoCreer (“Scelgo di crederci”), poi divenuto virale, aveva sempre meno a che fare con le vecchie superstizioni e diventava sempre più credibile.

Poche ore dopo l’aggiunta della terza stella allo scudo, la gente si è riversata per le strade come mai prima per festeggiare l’immensa gioia della vittoria. Un avvenimento di cui capiremo l’importanza solo con il passare del tempo.

Tuttavia, ci sono altri trionfi che meritano di essere evidenziati. Scaloni ha fatto sì che la sua nazionale non potesse essere assimilata alla “scuola” di Menotti, Bilardo, Bielsa, Pekerman, Sabella o di nessun altro ex allenatore. Ci ha fatto uscire dagli schemi datati, sia per la versatilità dimostrata dalla squadra nell’affrontare le partite, sia per il suo vincolo “emotivo” con ciascuno dei cognomi appena citati. Possiamo dire, infatti, che il giovane commissario tecnico ha qualcosa di ognuno: è stato scelto e sostenuto per l’incarico dall’allenatore campione nel 1978 e attuale direttore delle Selezioni Nazionali dell’AFA (la Federcalcio argentina); deve riconoscenza alla squadra in cui ha debuttato professionalmente, l’Estudiantes, di cui il C.T. campione nel 1986 è un eroe; è nato nella “culla calcistica” del Newell’s Old Boys, indissociabile dall’allenatore di Rosario che suscita amore e odio sin dai tempi dell’eliminazione al primo turno ai Mondiali di Corea e Giappone 2002; è grato al compianto allenatore vicecampione del mondo in Brasile 2014 per i valori trasmessi alla nazionale; e ha imparato a conoscere (come i suoi colleghi dello staff tecnico) lo spirito della nazionale diventando campione del mondo Under 20 sotto la guida dell’allenatore di maggior successo delle nazionali giovanili nonché commissario tecnico della nazionale senior ai Mondiali di Germania 2006.

Ed è riuscito nell’impresa in cui speravano non solo gli argentini, ma anche gran parte del mondo: vedere Messi felice in nazionale. Il fuoriclasse di Rosario si è goduto tutta la Coppa del Mondo. Lo ha detto, lo ha dimostrato e ha trasmesso il suo entusiasmo ai compagni di squadra. Uno stato d’animo diventato forza motrice per le performance personali e collettive e che ha contagiato un intero paese.

Sicuramente non siamo ancora in grado di misurare l’impatto suscitato da questa nazionale, grazie a Messi, Scaloni e compagni. Ma la perseveranza, l’umiltà, il lavoro di squadra e il saper ricominciare, reinventarsi e riprovare dopo ogni caduta stanno certamente già permeando le nuove generazioni. Giovani che capiscono il valore della storia e delle figure che hanno reso grande il calcio argentino, primo fra tutti Diego Armando Maradona. Ma che, allo stesso tempo, guardano avanti. Perché hanno visto con i loro occhi che può esserci un altro modo di fare le cose. La Scaloneta li ha segnati per sempre e hanno adottato Lionel Andrés Messi come nuova stella polare del calcio per l’eternità. In parecchi stanno iniziando a seguire il loro esempio, e mi auguro che questo processo sia una lezione da applicare nei più vari ambiti della nostra vita personale, sociale e politica. Perché no?

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