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METTERSI IN GIOCO PER LA PACE

 
3 Ottobre 2016   |   , ,
 

Salam, Iraq: Vivevamo in una grande casa con otto stanze, ogni figlia aveva la sua camera da letto. Poi all’improvviso ci siamo trovati in un caravan di 3 metri quadrati. Che vita è questa?

Sameh, Iraq: Avevamo una azienda, eravamo autonomi, ma quando l’ISIS ha attaccato siamo fuggiti senza prendere niente, se non i vestiti indosso.

Le storie di Salam e Sameh sono due delle molte che hanno toccato il cuore e la mente del gruppo di giovani che si è trovato a Madaba, Giordania, lo scorso agosto. Molti si sono incontrati lì per la prima volta. Da Europa, Medio Oriente e in 3 da Stati Uniti, Argentina e Nuova Zelanda. Hanno vissuto 12 giorni in un campo che fino a 6 mesi prima aveva ospitato 114 rifugiati iracheni.

Áine, Irlanda: E’ incredibile che siamo alloggiate dove hanno vissuto le famiglie dei rifugiati. (…) Abitiamo qui in tre: Haggar dell’Egitto, Lina della Germania ed io (…). Sulla parete vicino al mio letto ci sono due piccoli disegni ritagliati da scatole di cereali.

Anna, Italia: Spesso magari si dice “ah ma questi giovani non fanno niente”, magari sono un po’ sottovalutati. Invece il fatto di dire: “No!” Io sono venuta in Giordania, e sono in Giordania con persone di tutte le nazionalità e sono qui perché credo che sia importante quello che sta succedendo.

Cosa può venir fuori mettendo insieme un gruppo di giovani del Medio Oriente e dell’Europa che si trovano di fronte a una realtà così carica di drammi e complessità?

Sören, Germania: Avevo paura che quelli del Medio Oriente mi avrebbero incolpato di essere un giovane occidentale che viene qui per aiutare (…). Allo stesso tempo loro temevano che non ci saremmo interessati a loro, (…) che saremmo rimasti distanti e freddi. (…) Alla fine abbiamo visto che erano timori infondati. Pascale, Libano (in inglese): Il mio Paese sta soffrendo per questa situazione ed è quindi difficile essere oggettivi (…). Penso che gli scambi culturali siano veramente importanti. Infatti ogni volta imparo qualche cosa di nuovo.

Mohammad, Palestina: C’è intesa e armonia tra di noi. Sembra proprio che “doveva essere così”. Ognuno completa l’altro e lavorare insieme è bello e divertente.

Host-spot è il nome di questo progetto promosso da 10 organizzazioni non governative di 9 Paesi e finanziato dalla Commissione Europea. La Caritas Giordana ha giocato un ruolo vitale nell’organizzazione. Sameh and Salam, che abbiamo conosciuto prima, hanno lavorato come cuochi per i 55 giovani presenti.

Dina, Giordania: Pensavamo fosse un gesto significativo avere persone che hanno vissuto la guerra ed il travaglio per arrivare qui. Un’occasione per conoscerli e imparare da loro; e loro sono diventati parte integrante del progetto.

La visita a famiglie siriane e irachene, in attesa dei documenti per emigrare in altre nazioni, è stata una esperienza profonda. Persone che fino a quel momento erano solo numeri nei telegiornali della sera, sono diventate un po’ alla volta amici che hanno un nome e un volto.

Marisol, Spagna: Quando siamo arrivati (…) la donna era tutta coperta, aveva il velo, e si vedevano solo gli occhi. Piano piano abbiamo incominciato a fare delle domande; ai bambini abbiamo chiesto i loro sogni, (…) ci siamo messi a disegnare con loro. E’ stato come rompere le barriere e i muri; avvicinarci di più; la mamma si è sentita più a suo agio e ci ha raccontato come sono arrivati fin qui. (…) Abbiamo sentito il suo dolore. (…) E poi ha tolto il velo e mi ha dato un bacio (…). E’ stato come cominciare da qualcuno molto lontano e arrivare quasi a qualcuno che può essere tua madre (…). Non sono più storie così lontane per noi.

Dovunque c’è tanto da fare e le idee si trasformano in atti di solidarietà e segni di comprensione. Tante delle vittime della crisi dei rifugiati sono bambini. Ogni pomeriggio in due diverse scuole si animavano attività per i bambini di famiglie siriane e irachene. (ambiente)

Shurouk, Giordania: Oggi siamo in una scuola materna. (…) Siamo qui per accendere un sorriso nei loro volti, felicità nei cuori, anche se solo per un breve momento.

Spesso i media offrono informazioni parziali sui conflitti in Medio Oriente e sui rifugiati in generale. Questi ragazzi vogliono condividere senza filtri, le storie, i volti e le speranze delle famiglie costrette a lasciare il loro Paese. E’ iniziata così una compagna di informazione sui social media.

Massimiliano, Italia: Il senso di questo viaggio è dare una continuità, dare un futuro a quella che è stata questa esperienza (…) far conoscere alla gente, per informare le persone (…) su una realtà che dovrebbe essere molto più capita e vicina alla gente.

Kristóf, Ungheria: La maggior parte delle mie foto sono di momenti felici, personali (…) fotografie che se viste in Europa, possono aiutare a sentirsi più vicini a queste persone, giocano con i bambini come noi (…). Questa foto è vita e dice tanto di questa famiglia piena di speranza.

Wael V. Suleiman, direttore generale Caritas Jordan: Abbiamo occhi che vedonoguerra, distruzione, morte, odio, violenza, conflitti e divisioni. Abbiamo però un cuore che vede il futuro: un’unica famiglia umana senza povertà, fame, odio. Il futuro è come un meraviglioso mosaico. (…) Non sappiamo quando diverrà realtà, ma stiamo lavorando adesso per questo e abbiamo intenzione di continuare fino a quando non si realizzerà.

Fonte: Collegamento CH


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