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Storico accordo dell’Onu per il controllo delle armi

 
4 Aprile 2013   |   , ,
 

Nei vostri comunicati avete denunciato la strana alleanza tra la lobby Usa dei produttori di armi e l’Iran per bloccare il trattato. Il voto di oggi vede i due Paesi contrapposti. Cosa è cambiato nel frattempo?

«Per l’Iran non è cambiato nulla, avendo continuato a votare contro il trattato (insieme alla Siria e alla Corea del Nord), dati i suoi interessi geopolitici nella sub-regione mediorientale. È cambiato l’atteggiamento di Obama, che, dopo la sua rielezione nell’autunno scorso, è stato in grado di aderire al trattato, seppur esercitando una funzione di indebolimento delle norme in esso contenute al fine di non esacerbare troppo i rapporti con la lobby delle armi statunitense (peraltro in difficoltà dopo le stragi interne come quella nella scuola del Connecticut), che si è opposta duramente ai tentativi di limitare il possesso di armi da guerra per i singoli cittadini statunitensi».

Il segretario generale dell’Onu ha lodato il grande apporto delle organizzazioni della società civile. Voi sottolineate che questo è solo il primo passo. Cosa manca nel trattato? Quali ambiti sono esclusi dall’accordo e per quali motivi?
«Non va dimenticato che l’ATT è il risultato di anni di iniziative della società civile, a cui l’Archivio Disarmo, insieme al network della Rete Italiana Disarmo, ha contribuito nell’ambito della campagna internazionale Control Arms. Il trattato riguarda solo i principali sistemi d’arma (carri armati, veicoli corazzati da combattimento, sistemi di artiglieria di grosso calibro, aerei da combattimento, elicotteri d’attacco, navi da guerra e sottomarini, missili e missili lanciatori) più le armi leggere e di piccolo calibro ad uso militare. Restano limitate le forme di controllo sulle munizioni e sulle componenti di armi, mentre restano fuori dai controlli sia le armi da fuoco che non hanno un esclusivo uso militare e tutte le armi elettroniche, radar, satelliti ecc., sia i trasferimenti di armi all’interno di accordi governativi e programmi di assistenza e cooperazione militare. Si tratta di lacune molto gravi che comunque limitano il campo di applicazione degli obblighi e dei divieti. Rimane infine assai debole la trasparenza dei trasferimenti e, in sostanza, le previsioni del trattato non vanno molto oltre quanto già in vigore per l’inadeguato Registro Onu sulle armi convenzionali in vigore da oltre vent’anni».

Dal prossimo 3 giugno si firmerà per ratificare il trattato che, per entrare in vigore, deve essere sottoscritto da almeno 50 Stati. L’Italia all’avanguardia come normativa nazionale con la legge 185/90 potrà essere tra i primi firmatari?
«Se avessimo un governo e un Parlamento operativi sarebbe un fatto encomiabile, poiché l’Italia è stata la prima a dotarsi nel 1990 di una buona legge in materia (seppur a volte male interpretata e applicata), che è stata ripresa a modello negli anni successivi dal Codice di condotta europeo (1998) e dalla Posizione comune e dalla Direttiva europea (2007-2008) dell’Ue. Non si può dimenticare che l’Italia ha sempre appoggiato questo trattato in ambito internazionale, come ci hanno evidenziato sia l’ambasciatore Brauzzi (direttore centrale per la sicurezza, il disarmo e la non proliferazione del Ministero degli affari esteri), sia Massimo Drei (capo dell’ufficio V disarmo e controllo degli armamenti), che hanno rappresentato il nostro Paese alla Conferenza diplomatica di New York. Pertanto faremo certamente questa richiesta alle istituzioni competenti».

Come si può interpretate questo gesto dell’Onu con una guerra in corso in Siria e la tensione crescente in Corea?
«Per ora l’approvazione del trattato ha solo un valore simbolico, poiché per entrare in vigore deve essere ratificato e poi implementato nelle legislazioni nazionali. Quindi passeranno sicuramente diversi mesi. Inoltre è necessario che questo processo coinvolga positivamente i grandi esportatori di armi come gli Usa, la Russia, la Germania, la Francia e la Cina, che detengono i tre quarti del commercio mondiale. Comunque anche solo dal punto di vista simbolico e politico, è un importante segnale che evidenzia la volontà della stragrande maggioranza dei Paesi di mettere sotto controllo un commercio così delicato per le sue implicazioni come quello delle armi».

(Fonte: www.cittanuov.it; Autore: Carlo Cefaloni)


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