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Workshop

Un viaggio dentro di me

 
4 Maggio 2016   |   , ,
 
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Inizia il terzo giorno. Partenza da Quito per un viaggio di 200 chilometri. Eppure, il viaggio durerà parecchie ore. Una occasione fantastica per gustare, con tranquillità, il cambio di prospettiva, di vegetazione, di temperatura. Si passa dalla “sierra” all’oriente, fino ad arrivare in piena Amazzonia!

Il viaggio è ricco di soprese. Accanto alla scoperta del paesaggio, approfittiamo per conoscerci di più. Parlando con Isabel, ad esempio, scopro che è arrivata in Ecuador 9 mesi fa: «L’anno scorso ho concluso il college in Austria. Prima di iniziare l’università ho deciso di dedicare un anno della mia vita per gli altri. Non sapevo dove andare, sapevo solo che volevo uscire dalla mia routine. Perché viaggiando, si entra in contatto con altre persone, altre culture, altre realtà, e conoscendo di più loro, si conosce un po’ di più sé stessi. Questi nove mesi – continua – sono stati fantastici. A volte mi sentivo sola e non capita, ma più forte di tutto era la voglia di costruire rapporti veri!».

Anche Guillermo è una vera sorpresa: «Ho studiato in Germania per due anni. Mi preparavo a fare il meccanico. Ma, stando lì, ho capito che nel mondo non si conosce l’Ecuador. E, allora, ho deciso di tornare e ho aperto una impresa di trasporti turistici per far conoscere le bellezze della nostra storia, i tesori della nostra Terra. Perché, per abbattere i pregiudizi, occorre conoscere le varie culture». Durante il viaggio, alle pendici del vulcano Cotopaxi, ci fermiamo a Salsedo dove assaggiamo una specialità del posto: il gelato a 4 gusti fatto esclusivamente di frutta! Una occasione per far festa, ma anche per immergersi nelle tradizioni (anche culinarie) del popolo ecuadoriano.

Dopo qualche ora, arriviamo a Pujo (nella provincia di Pastaza). Lì assaggiamo il “volquetero”, piatto tipico e inno all’interculturalità: «Questo piatto nasce per far sentire più vicine due culture: grazie al mix di alimenti della sierra e dell’oriente, tutti si sentono accolti», ci spiegano. Insomma, anche il cibo è una occasione per costruire ponti di fraternità!

Partiamo alla volta dell’Amazzonia. La vegetazione si fa folta e, dopo 10 ore dall’inizio del nostro viaggio, eccoci arrivati nella comunità indigena degli Shiwakucha. Appena arrivati, viviamo un momento davvero suggestivo: tutta la comunità era ad attenderci da ore! Nonostante questo, ci accoglie subito con danze, canti, presentazioni della loro cultura. E alla fine, viviamo tutti un’esperienza di condivisione e inculturazione: a ciascuno di noi viene dato un nome Kichwa. La comunità fa festa ogni volta che viene pronunciato solennemente il nuovo nome.

Dopo cena, Cirangelo ed io ci avviamo nella selva amazzonica. Ci fanno strada Araceli ed Omar, figli di Pedro e Margarita. Questa notte dormiremo con loro, insieme agli altri 7 figli e una nonna. In tutto, un meraviglioso e dinamico nucleo familiare di 12 persone! Non ci sono parole per descrivere l’emozione provata: dormire in mezzo alla natura, in una casa di legno totalmente aperta, senza barriere tra sè e la natura, rende poche ore di sonno una esperienza incredibile lì, nel letto, con la pioggia che scroscia e i rumori della foresta tutto attorno a noi, mi rendo conto che sto davvero compiendo un viaggio, non un viaggio turistico, ma un viaggio dentro di me, riscoprendo un equilibrio mai provato prima.

Dopo poche ore, il gallo canta. Sono le 3 del mattino. La famiglia si ritrova per un momento di condivisione. Pedro, la sera prima, ci aveva detto che «prima di iniziare la giornata, preserviamo un momento per raccontarci, ascoltarci e organizzare la giornata». In realtà, anche se già sveglio, rimango a letto perché mi rendo conto che, anche se ci siamo sentiti accolti meravigliosamente, è importante rispettare quel momento così intimo e festoso.

Alle cinque, decido di scendere. Facciamo colazione e, con Pedro, inizia un dialogo che durerà tutta la mattinata: una comunione continua, semplice ma profonda, sulla cultura indigena. I loro costumi, gli usi, le credenze. Da ciò che ci racconta, traspare un grande senso di responsabilità nei confronti del creato. Visto che la pioggia sta diminuendo, decidiamo di inoltrarci nella selva. Spesso si ferma a raccontarci aneddoti sulla natura, ci spiega a cosa serve quella pianta o quella radice. Tornati a casa, continuiamo a condividere reciprocamente: lui ci racconta di quanto sia importante, per la cultura Shiwakucha, il senso di comunità. Noi gli raccontiamo aneddoti della nostra vita, insomma, una mattinata all’insegna della ricerca dell’altro. In una parola: dell’interculturalità!

Tutto, poi, si fa chiaro quando, a pranzo, incontriamo Nadino, giovane della comunità molto attivo nella promozione della cultura indigena: «Noi sappiamo che non potremo più vivere come i nostri avi; ma non ci sentiamo rappresentati neanche in una società individualista e materialista. Che senso ha continuare a produrre e possedere, quando nel mondo mancano momenti e spazi di condivisione? Quello che dovremmo creare sono spazi di dialogo, spazi di inclusione, spazi di reciproca conoscenza. Per questo nasce la nostra comunità. Perché solo quando ci si conosce, allora non si giudica. Solo quando ci si ascolta, si dialoga davvero!».

Ormai è ora di ripartire, i bambini ci salutano festosi. Prossima destinazione: Bagnos, località turistica e ricca di piscine termali e cascate. Questa notte dormiremo lì, domattina ci aspetta un’altra comunità indigena.

Fonte: http://cittanuova.it/

di Francesco Ricciardi


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