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Workshop

Una scuola a dimensione di città

 
10 Novembre 2020   |   Italia, #daretocare, Educazione
 

L’esperienza educativa di un liceo di Prato, in Toscana, dove gli studenti sono coinvolti in percorsi di “cura” che guardano alle ferite della città.

Suo padre la definiva come “imprenditrice del no profit”, e lei questa definizione se l’è cucita addosso molto bene. In effetti, 40 anni di insegnamento in un liceo di Prato,  alle porte di Firenze, hanno fatto di Sandra Mugnaioni un punto di riferimento della solidarietà e della fraternità, per la “cura” di tanti ragazzi e famiglie della città. Come? Insegnando bene, prima di tutto, facendo bene il proprio mestiere, e poi lasciando che la creatività e la sensibilità per l’altro facessero il resto.

Con Sandra mi sento al mattino presto, una donna come lei ha sempre tante cose da fare, ha anche un marito, due figli grandi e un nipotino di pochi mesi. «Sono un’insegnante di lettere, ora in pensione, ma essendo sempre stata convinta che la fraternità non potesse attendere, ho usato del mio lavoro per andare un po’ oltre, con i miei ragazzi, a quelle che erano le semplici lezioni a scuola, per approfondire vari temi di attualità che li potessero coinvolgere a essere proattivi verso le problematiche della nostra città».

Nel liceo Copernico di Prato, da circa vent’anni Sandra porta avanti alcuni progetti che fanno degli studenti “cittadini attivi” del liceo, aperti sulla città: conferenze interattive, percorsi civici, letture, discussioni in classe, progetti sul territorio, testi teatrali. Uno dei progetti più interessanti è proprio quello dei Peer Educator: i ragazzi scelgono un tema, d’accordo con i professori che seguono il progetto diverso anno per anno: si leggono documenti, si approfondiscono da diverse fonti le varie sfaccettature del problema. E poi si decide cosa fare. «L’anno scorso il tema è stato quello delle cosiddette “ecomafie”, con una sponda fortissima verso la sensibilità ambientale: i ragazzi hanno letto molti testi, sono stati nella Terra dei Fuochi, hanno preso contatti con Padre Maurizio Patriciello, con l’associazione “Noi mamme di tutti”».

Alla fine di tutto questo percorso viene scritto un testo teatrale, la Gardugña, (in spagnolo significa Cosa Nostra) rappresentato a 700 ragazzi delle scuole superiori di Prato, e nel teatro principale della città. In questo modo gli studenti acquistano una sensibilità e una competenza che permette loro di diventare essi stessi formatori dei loro pari, anche dei coetanei più in difficoltà: sono, appunto i peer educator che una volta diplomati non smettono di cercare occasioni di bene e non mollano la loro prof, tanto che l’esperienza, al liceo e fuori, è condivisa e costruita da un gruppo di docenti sempre più esteso.

«Certo, bisogna procurarsi competenze tecniche solide, oltre ad avere empatia per i giovani: io me li sono dovuti “ristudiare” in un certo senso, anche quando sono andata in pensione».

Una pensione, per Sandra, che coincide con uno dei periodi più attivi, anche con l’impegno politico a livello locale; e poi l’impegno fuori dal liceo con i ragazzi come si concretizza? A Prato c’è il Villaggio Gescal, un grosso agglomerato di condomini, costruiti negli anni ’80. Sono tante le famiglie che vi abitano, alcune con grandi difficoltà; il villaggio riflette un po’ le 124 etnie presenti in città. C’è l’Istituto comprensivo Don Milani è presente una scuola media e ci sono anche quattro Istituti superiori professionali, alcuni Istituti tecnici e sezioni del liceo. Si possono immaginare le difficoltà dettate dal fatto che a Prato la crisi batte forte e quindi anche i ragazzi che frequentano le scuole ne risentono. «Una mia amica che lavorava alla Don Milani mi ha detto “perché non vieni a darci una mano qui con i ragazzi in difficoltà?” E così, io, appena in pensione, ho cominciato a lavorare in quel contesto coinvolgendo i Peer Educator». Nasce così il doposcuola Romero, dedicato al vescovo Oscar Romero, assassinato nel 1980 proprio per le sue battaglie in difesa dei più poveri ed emarginati. Dentro il centro civico del villaggio, con il patrocinio del comune, il doposcuola rimane aperto due volte alla settimana.

Lo frequentano ragazzi che vivono situazioni di emarginazione dal punto di vista familiare e socio economico, sono seguiti da professori in pensione che hanno ancora voglia di darsi da fare, e dai Peer educator che invece imparano proprio in quel contesto a spendersi per gli altri: «Sai, i giovani hanno bisogno di cose concrete»- continua Sandra.

Si crea così, piano piano, una famiglia, che anche in questa pandemia non ha mai smesso di “prendersi cura” di ragazzi e famiglie. «A Marzo abbiamo iniziato il doposcuola con la didattica a distanza. Ci siamo accorti che circa 50 ragazzi non si collegavano al mattino con i professori legittimi per motivi socioeconomici, perché magari vivevano costretti in sette persone in due stanze, adolescenti un po’ abbandonati a loro stessi, e rischiavamo di perderli del tutto».

Sandra e i suoi ragazzi ricercano personalmente gli studenti, e uno a uno li recuperano tutti, e tutti alla fine dell’anno riescono ad essere promossi.

È la grande vittoria del progetto, un lavoro che continua anche oggi, in questa seconda ondata della pandemia, e ha le sue basi di forza nella relazione: «la relazione e i rapporti personali qui sono tutto: tra noi prof, anziani e giovani, affinché ognuno non pensi solo al suo specifico compito, ma sia responsabile del lavoro degli altri, in una sorta di comunità attiva, cerchiamo di stare in sinergia, in collaborazione». E poi il rapporto con i ragazzi che finalmente hanno dei punti di riferimento che nelle famiglie non è possibile assicurare.

Di fondo l’obiettivo della reciprocità dei rapporti che cambiano le situazioni è sempre presente.

«Sai cosa mi ha detto un giorno uno dei Peer educator, un ragazzo, musulmano, di 23 anni?: “Sandra, tu ci dai tanto, ma anche io a te sto dando tantissimo, tutto il tempo che mi avanza nello studio. Lo dono per te, e per tutto quello che stiamo facendo».


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