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I Giochi Paralimpici: dove il 15% è protagonista

Photograph of Australian Paralympic team members at the 2012 Summer Paralympic Games in London.

Quanto ne sappiamo dei Giochi Paralimpici? Poco o molto, non importa: in quest’articolo scopriamo la loro storia, alcune curiosità, le differenze con i Giochi Olimpici e gli elementi che ne fanno un evento sportivo unico e diverso da tutti gli altri.

In questi giorni, a Tokyo, si sta svolgendo la sedicesima edizione dei Giochi Paralimpici della storia. Lo slogan di questi Giochi è “Uniti dall’emozione”, e vi partecipano 163 delegazioni in 22 discipline sportive. In quest’articolo scopriamo qualcosa in più sulla loro storia, il loro nome e la fiamma paralimpica, oltre che sulla grande campagna dei Giochi Paralimpici di Tokyo 2020: #WeThe15.

Perché si chiamano Giochi Paralimpici?

Come si può dedurre, la parola “olimpico” viene da Olimpia, il luogo in cui nacquero i Giochi Olimpici in Grecia (per saperne di più sui Giochi Olimpici, ti invitiamo a leggere quest’articolo).

Ma cosa significa “paralimpici”?

Photo by Jonas de Carvalho_Paralympics Games – Rio 2016

In origine, il nome fu fatto derivare dall’unione fra le parole “para”, che stava per “paralisi” o “paraplegia” (dato che all’epoca partecipavano solo persone con questa forma di disabilità fisica), e “olimpici”. Tuttavia, in seguito il termine fu adottato perché, in greco, il prefisso παρά (parà) significa “insieme a”, a designare appunto un evento organizzato insieme ai Giochi Olimpici.

Nel 2001 il Comitato Olimpico Internazionale e il Comitato Paralimpico Internazionale firmarono un accordo che decretò l’inclusione automatica dei Giochi Paralimpici nella votazione per decidere la città ospitante dei Giochi Olimpici (sia estivi che invernali).

Chi è Ludwig Guttmann, padre delle Paralimpiadi?

Ludwig Guttmann era un neurologo ebreo, naturalizzato britannico dopo la sua fuga dalla Germania nazista prima dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale.

Guttmann era considerato il massimo neurochirurgo tedesco fino a quando i nazisti vietarono agli ebrei l’esercizio della professione medica. Guttmann divenne allora direttore dell’Ospedale Ebreo di Breslavia fra il 1933 e il 1937. Nel 1938 disobbedì all’ordine della Gestapo di non occuparsi di pazienti non ebrei, decidendo di lasciar entrare chiunque nell’ospedale. Di fronte alle pressioni della Gestapo affinché giustificasse la propria disobbedienza, Ludwig si vide costretto a fuggire dal paese e chiese aiuto al Consiglio di Assistenza per Accademici Rifugiati (CARA) per potersi stabilire in Inghilterra.

Fra la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, il tasso di mortalità per paraplegia da trauma nell’esercito britannico arrivò all’80%. Fu per questa ragione che Guttmann realizzò una ricerca sulla cura e la riabilitazione dei pazienti affetti da lesioni al midollo spinale. Sulla base di questo studio fu presa la decisione di aprire un centro per curare persone con questo tipo di lesioni.

Nel 1944, sotto la direzione del dottor Guttmann, divenne operativo l’Ospedale di Stoke Mandeville ad Aylesbury, nel sud-est dell’Inghilterra. Inizialmente aperto solo ai militari feriti, curò in seguito anche i civili. L’obiettivo principale di Guttmann era il reinserimento dei pazienti come membri rispettati dalla società, obiettivo che realizzò applicando al trattamento i propri metodi.

Australian Paralympian receives gold medal at the 1968 Tel Aviv Paralympics from Paralympic movement founder, Ludwig Guttmann (Creative Commons License)

Come nascono i Giochi Paralimpici per mano di Guttmann?

In gioventù, Guttmann aveva praticato sport e ne conosceva l’importanza. Lo considerava un’attività che aiuta a recuperare forze, coordinazione e resistenza, e che, inoltre, permette di contrastare i disagi psicologici cui possono andare incontro, in misura minore o maggiore, le persone con disabilità: isolamento, bassa autostima, ansia, ecc.

Per questo motivo, all’Ospedale di Stoke Mandeville, le persone in sedia a rotelle iniziarono a praticare attività sportive come basket, tiro con l’arco, netball, lancio del giavellotto, biliardo… e nel 1948 ebbero luogo i Giochi di Stoke Mandeville, ai quali fu invitata una squadra di pazienti di un altro ospedale. Nel 1949 vi parteciparono 37 atleti di sei ospedali, e iniziò a prendere vita un movimento simile all’olimpismo, ma che aveva per protagonisti gli atleti con disabilità. Nel 1951 giunsero 126 partecipanti da tutto il Regno Unito e nel ’52 parteciparono per la prima volta atleti di un altro paese (i Paesi Bassi). Poco dopo, nel 1959, si giunse a 360 partecipanti da 20 paesi.

Così arrivò il 1960, anno in cui ebbero luogo i primi Giochi Paralimpici della storia, poco dopo i giochi Olimpici di Roma. Vi parteciparono 209 atleti di 18 paesi in otto discipline. A quei Giochi parteciparono solo persone con lesioni al midollo spinale.

Australian team 1960 Paralympics Opening Ceremony (License Creative Commons)

I Giochi Paralimpici di Tokyo 2020

Oggi, i Giochi Paralimpici comprendono una serie di discipline divise in subcategorie, a seconda del tipo di disabilità dei partecipanti. Le disabilità possono riguardare la potenza muscolare, la gamma passiva di movimento, la mancanza totale o parziale degli arti, la bassa statura, l’ipertonia, l’atassia, l’atetosi, il deficit visivo e la disabilità intellettuale. Queste categorie si suddividono a loro volta e variano da uno sport all’altro.

Questi Giochi stanno ospitando 539 eventi di 22 discipline sportive (in questa edizione si sono aggiunti il badminton e il taekwondo, che hanno preso il posto del calcio a 7 e della vela, annullati per mancanza di partecipazione internazionale).

La cerimonia inaugurale di Tokyo 2020

Anche se la cerimonia presenta quasi tutti gli stessi elementi dei Giochi Olimpici, vi sono alcune particolarità. Una di esse è che, nei Giochi Paralimpici, non è la Grecia a sfilare per prima, perché non è la culla di quest’evento.

L’ordine dei paesi nella sfilata è stabilito in base all’ordine alfabetico della lingua locale: ad esempio, in giapponese, l’Islanda e l’Irlanda sono le prime della lista. Tuttavia, ad aprire la sfilata è stata la Squadra Paralimpica dei Rifugiati. Ha chiuso invece la delegazione locale, il Giappone.

La fiamma paralimpica

Come abbiamo scritto nell’articolo sui Giochi Olimpici, la fiamma di quell’evento parte dalla patria dei Giochi che è Olimpia, in Grecia. Nei Giochi Paralimpici, invece, la fiamma nasce nel paese ospitante ed è tale paese a decidere come sarà accesa.

In occasione dei Giochi Paralimpici di Londra 2012 si scelse di accendere una torcia in ciascuna delle quattro nazioni che compongono il Regno Unito (Galles, Inghilterra, Irlanda del Nord e Scozia), per poi unificarle e accendere così la fiamma olimpica nello stadio di Stoke Mandeville, città in cui Ludwig Guttmann diede vita ai Giochi Paralimpici.

Ad Atene 2004, la fiamma era stata accesa nel cuore della città, al Theseion o tempio di Efesto, in onore del dio del fuoco che, secondo la mitologia ellenica, possedeva una disabilità, la zoppia, essendo stato gettato giù dall’Olimpo da sua madre Era.

A Tokyo 2020, la fiamma è stata accesa in ciascuna delle 47 prefetture del Giappone da persone diverse e in luoghi simbolici, come ad esempio l’iconica Cupola Genbaku, conosciuta anche come “Cupola della Bomba”, oggi memoriale della Pace ubicato nel luogo in cui cadde la prima bomba atomica lanciata dagli Stati Uniti.

Le delegazioni ai Giochi Paralimpici di Tokyo 2020

Sono 163 le delegazioni che partecipano a questi Giochi Paralimpici, compresi la Squadra Paralimpica dei Rifugiati (RPT è la sigla in inglese), il Comitato Olimpico Russo (poiché la Federazione Russa è stata penalizzata e non può partecipare come nazione) e la delegazione dell’Afghanistan, i cui atleti erano assenti al momento della cerimonia. Ciò è stato dovuto al fatto che, il 16 agosto, in seguito alla presa di Kabul da parte dei Talebani, l’Afghanistan si era ritirato dall’evento. I suoi due rappresentanti, la taekwondista Zakia Khudadadi e il corridore Hossain Rasouli, sono però riusciti ad arrivare a Tokyo il 28 agosto e hanno potuto prendere parte ai Giochi.

Refugee Paralympic Team

#WeThe15, la campagna dei Giochi di Tokyo 2020

Il 15% della popolazione mondiale possiede una qualche forma di disabilità, e questa campagna si propone di focalizzare l’attenzione su queste persone. L’obiettivo di “Noi, il 15” o “WeThe15” è abbattere le barriere e “dare inizio a un cambiamento nel prossimo decennio, mettendo insieme la più grande coalizione di organizzazioni internazionali del mondo dello sport, dei diritti umani, della politica, della comunicazione, dell’imprenditoria, dell’arte e dello spettacolo”.

“Proprio come per la razza, il genere o l’orientamento sessuale, vogliamo dar vita a un movimento a cui possano unirsi tutte le persone con disabilità. Un movimento globale che faccia opera di sensibilizzazione pubblica per la visibilità, l’inclusione e l’accessibilità della disabilità”, secondo quanto spiega il sito ufficiale della campagna.

I Giochi Paralimpici, sebbene molto meno famosi di quelli Olimpici, sono un’occasione per sostenere gli atleti dei nostri paesi (e quelli degli altri paesi) affinché possano ottenere un posto migliore nel mondo dello sport e nella società.

I Giochi Paralimpici sono un’occasione per comprendere la capacità di resilienza dell’essere umano, la capacità che ognuno di noi ha di superare i propri limiti, di fare più di quello che crede possibile, di rinascere dal dolore.

E, più di ogni altra cosa, i Giochi Paralimpici sono, proprio come sognò il loro ideatore Ludwig Guttmann, un’occasione per dare visibilità alle persone con disabilità, affinché vengano rispettate come tutte le altre, e per generare spazi in cui possano sviluppare il loro potenziale. Niente di più e niente di meno.

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